A sessanta anni esatti dall’omicidio di John Fitzgerald Kennedy, la sua figura politica appare misteriosa quanto la sua morte. Qual era il suo vero volto, quello risoluto e deciso nella crisi dei missili, o quello rocambolesco e fluttuante dell’invasione di Cuba? Davvero è possibile che Kennedy volesse ritirarsi dal Vietnam, dopo aver appena aumentato la presenza americana? Voleva spacchettare la Cia e renderla inerte, o piuttosto metterla sotto la tutela della Casa Bianca? Domande inutili perché senza risposta. Se vogliamo una personalità ed una politica specchiata della storia statunitense, abbiamo Abraham Lincoln, tutto d’un pezzo fino all’ omicidio dalla matrice inequivocabile. Mentre per Kennedy, nessuna certezza oggettiva, se non che la commissione Warren fece un lavoro d’inchiesta indegno. Possibile una commistione di Kennedy con la mafia, come suggeriscono Puzo e Coppola nella loro saga cinematografica, o invece ha ragione Oliver Stone che crede nel colpo di Stato? L’Osservatore romano, convinto invece dei risultati positivi della commissione Warren, probabilmente unico quotidiano al mondo, sostiene che Kennedy era l’uomo del dialogo. Avesse ragione, i vescovi vogliono dire forse che l’America se ne è sbarazzata apposta? Allora bisognerebbe sapere il pensiero di Lumumba, eliminato due settimane dopo che Kennedy divenne presidente. Curioso che quando si parla di Kennedy, nessuno ricordi Lumumba.
Ciascuno può scegliere il Kennedy che preferisce, salvo che sulla crisi dei missili. La crisi dei missili fu gestita con polso fermo e con la assoluta convinzione della superiorità strategico bellica statunitense. L’anticomunismo è pur sempre un tratto distintivo della presidenza Kennedy insieme all’l’interventismo. Si veda anche solo la sua reazione alla costruzione del muro di Berlino, e a proposito di Cuba, ingoiato il fallimento dell’invasione, è lui che istituisce una task force per uccidere Castro affidata al fratello. Infine l’impegno in Vietnam. Tutto questo rappresenta la battaglia di Kennedy per il mondo libero, che ha un costo. Il suo famoso discorso del giugno del 1963, quando disse di non volere una pax americana, non è sufficientemente esemplificativo. Una volta aumentato il peso dell’America come prima potenza mondiale, a quale altra pace si sarebbe potuti arrivare? Eliminato Kennedy, Nixon non fu forse capace di alzare il livello del dialogo nella distensione con la Cina di Mao? Non aveva Nixon obbligato il Vietnam del Nord agli accordi di Parigi? E anche Nixon venne ucciso, sebbene in maniera meno cruenta di Kennedy. Se l’omicidio Kennedy fu un colpo di Stato, il Watergate, cosa era? Mentre le successive presidenze Ford, e Carter prospettano il declino statunitense, non certo l’escalation militare e nessuno li ha fatti fuori. Eppure Reagan, contro ogni pronostico, chiuse da vincitore la guerra fredda. Per cui la morte di Kennedy non ha spostato gli equilibri della storia americana, come non li spostò quella di Lincoln.
Il mondo sarebbe molto cambiato comunque e nessuno potrà mai dire che la politica di Kennedy, predisposta per la sfida al socialismo reale, fosse riproducibile nel confronto con l’integralismo islamico. Verrebbe da credere invece che il successore naturale di Kennedy potesse essere Obama, dal momento che Kennedy ha combattuto anche per i diritti dei neri e il suo stesso omicidio potrebbe essere limitato ad una implicazione di tipo razziale, sulla falsariga di quello di Lincoln. Resta il fatto che nonostante macchinazioni e complotti un Obama era arrivato alla Casa Bianca. La democrazia americana, può venire trasfigurata, non fermata. Ed Obama fu il presidente del ripiegamento americano, quando Kennedy lo fu dell’espansione. La storia si scrive con i fatti, non con le intenzioni e Kennedy resterà il presidente dell’operazione Lumumba in Congo, dell’invio di truppe in Vietnam, della sfida dei missili con la Russia, tutte premesse per il successo americano coronato nel 1991 con il crollo del socialismo reale. Kennedy diede questo fondamentare contributo, venisse ucciso o meno,
A conti fatti, il miglior erede di Kennedy è Biden che se non i soldati, invia le armi per contrastare i russi in Ucraina e le portaerei per proteggere l’alleato israeliano e il ramingo Taiwan. E pure è li che dialoga con Xj e con il Qatar. Un profilo, questo di Biden, purtroppo molto invecchiato, 40 anni suonati più del suo predecessore quando arrivò a Dallas. Questa è una differenza profonda, la giovinezza perduta della nazione americana. Al Wall street journal non risparmiano mai un colpo quando si tratta di presidenze democratiche, e hanno subito descritto il compleanno del vecchio Joe. In famiglia con una fetta di torta, sperando che nessuno si accorga del tempo che passa. Almeno Kennedy non ebbe questo problema.
foto pixabey cco