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La memoria ritrovata di Giuliano Amato

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
3 Settembre 2023
in L'editoriale
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La ricorrenza della strage di Ustica era il 27 giugno scorso. Per quale ragione un ex presidente del consiglio in carica più di 300 giorni fra il 1992 ed il 1993 e poi almeno altri 400 fra il 2000 ed il 2001, ritiene, di punto in bianco, da privato cittadino quale è, di riferire pubblicamente le sue convinzioni a riguardo dell’incidente? Un soprassalto di coscienza? Un tarlo che lo morde nel sonno la notte? È persona molto turbata dai suoi ricordi Giuliano Amato? Avesse per lo meno fornito elementi di una qualche rilevanza giudiziaria, considerando una sentenza penale che esclude tutta la battaglia favoleggiata nei cieli di Ustica. Qui bisogna che ci si metta d’accordo. Se si accetta la sentenza sulla strage di Bologna, perché rifiutare quella su Ustica? E non si tiri in ballo la sentenza civile successiva perché è questione completamente diversa. Nell’intervista concessa a Repubblica Giuliano Amato non presenta alcun elemento nuovo, ripercorre le solite teorie che già conosciamo, il grande complotto. Una sola fonte, riferita indirettamente, avvallerebbe questo impianto, quella per la quale Craxi avrebbe avvisato Gheddafi del possibile attentato. I due figli di Craxi, Bobo e Stefania all’unisono hanno smentito Amato e con loro l’onorevole Bonniver. Craxi avvisò Gheddafi nell’86 dell’attacco americano, cioè da presidente del Consiglio e non da segretario del Psi, sei anni dopo rispetto a quando non aveva alcun rapporto con il leader libico.

I ricordi di un ex presidente del Consiglio, ex sottosegretario di Stato, ex ministro del Tesoro, nonché ex presidente della Corte Costituzionale meritano la massima fede ed attenzione. Amato ha detto che la Francia avrebbe mobilitato la caccia per abbattere Ghedafi anche se lui stesso si stupisce di un simile gesto non considerandolo convenzionale. In effetti le democrazie occidentali, non si mobilitano per eliminare i capi di Stato altrui. Aggiunge poi che una simile singolare decisione non può non aver avuto l’avallo americano e di conseguenza, qui non è proprio precisissimo in verità, sarebbe intervenuta la complicità della Nato. Al che abbiamo già fatto notare nell’editoriale di ieri, sorge un piccolo problema di ordine didattico, essendo la Francia fuori dal comando integrale della Nato, perché condividere con gli alleati, da cui pure si è voluta, dal 1966 al 2009, tenere militarmente distante, una vicenda tanto scabrosa come l’eliminazione di un capo di Stato? Se davvero la Francia fuori dal comando integrato Nato, decideva di compiere una simile opzione, che senso ha consultare l’America o la Nato, dal momento che uno di essi o entrambi avrebbero potuto risponderle se era diventata matta? L’America di Reagan che nell’86 vuole colpire Gheddafi non chiede il parere di nessuno, lo fa e basta, indipendentemente dalla Nato. La Francia avrebbe poi eliminato davvero Gheddafi, ma all’interno della Nato, sulla base di un’ostilità oggettiva ed ufficiale, portata avanti formalmente nelle sedi deputate. Forse che avendo fallito nel 1980 in un attentato segreto, la Francia aveva voluto una guerra pubblica per portare a termine il suo proposito? Questo è possibile ma a maggior ragione nel 1980 avrebbe agito da sola senza chiedere il parere e l’aiuto di nessuno, perché se si vuole accusare la Francia per i fatti del 1980, per lo meno si risparmino l’America e la Nato che sulla base della logica storica sono completamente estranee alla vicenda. Amato accusa tutte e tre senza uno straccio di riferimento se non le parole riferitagli da Craxi e confutate dai famigliari.

Ammettiamo comunque che la Francia nel 1980 nel suo splendido isolamento, guidata da Giscard, voglia concludere il mandato presidenziale in bellezza con la morte di Gheddafi. Avrà pur allestito dei preparativi di un qualche tipo, affidato la missione ai migliori piloti e missilisti, tirato a lucido le armi più potenti, studiato i piani con l’intelligence, stiamo parlando di una super potenza. Invece non solo la Francia non riesce ad abbattere Gheddafi ma tira giù un aereo di linea di un paese alleato con 80 passeggeri a bordo. Un disastro che nemmeno l’ispettore Clouseau sarebbe stato in grado di combinare. I francesi ne uscirebbero come felloni, incapaci e infine, volendo nascondere tutto sotto il tappeto, indegni della minima fiducia. Altro che pretendere le scuse, bisognerebbe rompere le relazioni con la Francia. Non fosse che rientrano in ballo i vertici dell’aereonautica italiana, i quali, senza bisogno della Nato, per semplice soggezione, spirito di corpo o adesione politica, avrebbero contribuito a depistare ed insabbiare. Questi vertici che pure sono stati processati ed assolti, ed un militare che agli effetti risulta impeccabile nel suo stato di servizio, il generale Tricarico, è montato su tutte le furie. Un ex presidente del consiglio denigra la Francia e accusa anche le nostre Forze Armate. Cosa bisogna fare allora con le Forze Armate del nostro paese se la Francia mai ammettesse il danno?

Amato da capo del governo per ben due volte, sapendo Gheddafi debitore nei confronti del leader del suo partito, avrebbe potuto chiedere al raiss di dare la sua versione della vicenda. Chi meglio di Gheddafi in quegli anni c’era per denunciare l’attentato subito? Amato sarebbe diventato un eroe dei due mondi, avrebbe alzato il velo su una strage tanto devastante per l’occidente e chiesto giustizia per l’amico libico. Invece le cronache recitano di prese di posizioni prive di qualsiasi rilievo dell’allora presidente del Consiglio italiano su tutta la vicenda. Oggi, quando i rapporti fra il governo italiano e la Francia sono già tesi, vedi la nomina del capo missione Ue in Libia, vedi il Niger, vedi la Tunisia, vedi i migranti, Amato ha pensato bene di spandere ulteriore benzina sul fuoco. E guardate che incendio si è scatenato. Sembra Nerone.

foto cco

Tags: AmatoCraxi
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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