Un partito come quello repubblicano italiano che ha firmato la Costituzione con un vice presidente dell’Assemblea del prestigio di Giovanni Conti, dovrebbe aver maturato negli anni una certa riluttanza alle modifiche costituzionali. La nostra stessa rottura con l’Ulivo di cui pure fummo fondatori si consumò sulla base della decisione della maggioranza di centrosinistra di riscrivere il titolo V a fine legislatura e quando era evidente, si era visto dalle regionali, di non rappresentare nemmeno il 40 per cento degli italiani. La controversia legislativa tra Stato e Regioni che ha caratterizzato i successivi ventidue anni di vita politica del paese si deve a quella riforma sciagurata del governo Amato, approvata con il nostro voto contrario. Da quel momento si innescò nelle forze politiche bipolari il folle proposito di cambiare la costituzione a colpi di maggioranza e visto che non si ritrovò più se non in limitati casi specifici, non meno dannosi, come sulle norme transitorie della Carta, una qualche intesa parlamentare, di ricorrere alla via referendaria. Ogni volta le modifiche giunte alla verifica popolare sono state regolarmente bocciate. Sotto questo profilo possiamo dire che il movimento 5 stelle per lo meno evitò di presentarsi all’elettorato con un ambizioso quanto vacuo progetto di riforma costituzionale. Il suo unico desiderio esplicito era quello di una piccola correzione dell’articolo 56 e dell’articolo 57 relativo alla composizione delle due camere. Questo senza preoccuparsi però di valutare la ragione per la quale detto numero era stabilito alla lettera ed adducendo il motivo di voler risparmiare costi dello Stato.
La nostra obiezione spontanea fu elementare, se il problema è recuperare risorse dello Stato, perché avviare un processo di revisione costituzionale? Basta una legge ordinaria per dimezzare lo stipendio dei parlamentari senza intaccare il principio della rappresentanza che la Costituzione fissava matematicamente. Non volete dimezzarlo? Tagliate un terzo dello stipendio, la cifra che per contratto elettorale i deputati pentastellati designano alla fondazione Rousseau, rimanga nelle casse dello Stato. Tra l’altro, Rousseau non era stipendiato. Ora abbiamo appreso da un articolo del Corriere della Sera, a firma di Francesco Verderami che conosciamo come un collega dotato di una certa scrupolosità e una forte etica deontologica, che si è manomesso il principio di rappresentanza democratica, senza preoccupazione alcuna e lo Stato non risparmierà un euro. Questo perché mentre la maggioranza del governo Conte procedeva alla riforma, il presidente della Camera Fico, cambiava i regolamenti finanziari. Poiché i bilanci sono pubblici avremo modo tutti di vedere a breve se Verderami ha sbagliato o ci ha detto una verità sull’impostazione politica del movimento cinque stelle realizzata nella scorsa legislatura.
Confessiamo di avere ancora nelle orecchie il suono dolcissimo delle parole di Grillo che diceva ai suoi deputati appena eletti, voi “sarete la Montagna”. La “Montagna”, con il suo rigore e la sua abnegazione e a costo delle sue stesse vite salvò la Repubblica e la Francia. Nella Montagna sedettero giganti come Marat, Danton, Robespierre, Carnot, Baudot, Saint Just. Dubois-Crancé, Prieur de La Marne. Va detto che la Montagna, ovviamente, non pensò mai di aprire il parlamento come una scatola di tonno. Piuttosto difese le prerogative parlamentari dal re e dalla piazza a costo di usare le baionette. Se poi il movimento 5 stelle avesse fatto quello che scrive Verderami, la scatola di tonno, non l’ha aperta, l’ha blindata. E questo non lo fece nemmeno la Gironda, nemica della Montagna.
Foto Vizille Musée de la Révolution Française