I numeri non hanno nessun significato se non c’è chi li conta. Ne prendi atto o li interpreti, sono una base per fare altro. Se li torturi saranno pronti a confessarti qualsiasi cosa, chiosava Gregg Easterbrook. Lo stesso grado di incertezza ha la statistica. Certo, ti dà delle indicazioni, ma non puoi affatto renderle assolute e dogmatiche. Se io mangio due polli e tu resti digiuno, abbiamo mangiato un pollo a testa, si è ripetuto fino allo sfinimento.
Il rettore di Roma Tre Schillaci, il neo Ministro che sostituisce alla Sanità il disastroso Speranza, dice che il 90% dei suoi studenti si è vaccinato. È un esempio, l’ultimo, di come un dato numerico venga utilizzato a sostegno delle proprie ragioni. Il rettore Schillaci non dice quanto ormai sta emergendo in ogni dove, che va semmai a provare la posizione opposta, spara quel numero, che sarà vero, senza dire che gli studenti si sono vaccinati non per convinzione, ma perché costretti. Chi non aveva il Super Green Pass non poteva frequentare lezioni e non poteva fare esami. Quella percentuale non rappresenta una certezza plebiscitaria o un consenso. Era la percentuale di quanti avevano ceduto al ricatto, e semmai c’era da meravigliarsi del rimanente 10%.
Il data journalism in genere ha gli stessi limiti. Nessuno mette in discussione l’indubbia utilità di gestire e manipolare dati. L’attenzione bisogna porla quando poi si tratta di farli parlare questi dati. Perché un dato non è mai oggettivo. Il dato è di chi lo racconta. Non solo dipende da un’infinità di variabili, e il caso precedente dimostra cosa può avvenire quando semplicemente si omette di specificarne una, ma si presta a più informazioni. Se dico che durante la pandemia è aumentato il consumo di alcolici del 20% ho dato una notizia. Ma questo dato lo posso usare, ecco la soggettività, per dimostrare le cose più disparate che mi vengono in testa. Lo uso a mio supporto sia per dimostrare che è aumentata la depressione, che non abbiamo retto al mondo distopico che stavamo vivendo. Ma posso pure dire, e usare lo stesso dato per dimostrarlo, che è aumentata la voglia di stare insieme, anche clandestinamente, e di far baldoria con happy hour condominiali last minute.
Il Ministero dell’istruzione ha annoverato il data journalism tra i “percorsi di pensiero logico e computazionale”, e in un importante convegno di una decina di anni fa lo abbiamo chiamato il “giornalismo di precisione”. Ora, è vero che ci sono state importanti inchieste giornalistiche fondate sull’analisi di dati, premiante dal Pulitzer, come quella sulle rivolte dei negri americani a Detroit nel 1967 (in cui si dimostrò che non era vero che a scendere in piazza fosse la fascia meno istruita della popolazione) o le più recenti inchieste sulle speculazioni immobiliari. Ma abbiamo avuto, e forse soprattutto in Italia, una grande occasione mancata, come quella dell’informazione sul Covid. Dati sparati alla rinfusa, in cui non è mai stata chiara nemmeno la distinzione tra morti ‘di’ Covid e morti ‘con’ Covid, hanno ubriacato un giornalismo dove appunto si citava a caso questo o quel numero. In nome della scienza esatta. Che fai? Contraddici un numero?
La prima statua al Mondo in stile classico raffigurante le più probabili fattezze di PITAGORA è stata realizzata ed è visibile nell’agorà di Metaponto dove il Maestro insegnò, visse e morì. Foto di Giuseppe Barberino | CC BY-SA 4.0