Oramai dovrebbe essere chiaro a chiunque che il reddito di cittadinanza non era una misura tampone, necessaria al recupero o all’avviamento al lavoro sulla base di tre offerte che non sarebbero mai state fatte, come pure era stata annunciata scritta e votata. Il reddito di cittadinanza, del resto lo dice lo stesso nome, aveva un altro scopo ben più fondamentale, per cui il cittadino ha diritto a un reddito. Storicamente trova un precedente, perché lo stesso aveva pensato la Comune di Parigi. Il buon cittadino armato di picca che appende gli aristocratici alla lanterna, merita un reddito. Beppe Grillo deve essersene ricordato quando ha parlato di “brigate di cittadinanza”, con il passamontagna invece che con il berretto frigio. La “Brigata Marat” ad esempio che fu inviata a ripulire Nantes dai preti, non fosse che questo reddito di cittadinanza parigino, implicava un merito. Il reddito di cittadinanza di Conte no. Il reddito va dato a chiunque in generale sia sulla soglia di povertà, si ballava la carmagnola sul balcone di palazzo Chigi, appunto perché si aboliva la povertà, con un provvedimento universale e popolare. Altrimenti i centri di impiego sarebbero stati attivati, i detentori del reddito monitorati e mappati per le possibilità professionali e non si sarebbero elargiti migliaia di euro a gente che girava in Ferrari e lavorava in nero, come ogni tre mesi si veniva a sapere dalle cronache della stampa. Il tentativo di sanculottizzare la vita italiana da parte di Beppe Grillo, è stato democraticamente ammirevole, non fosse che la sanculotteria era poi sottoposta ai comitati di sorveglianza. Il governo Conte, che per completare l’opera avrebbe chiuso tutti in casa, manco controllava Casalino.
Purtroppo questo intento lodevole di aiutare i cittadini che erano in difficoltà e potenzialmente qualunque cittadino non fosse più in grado di mantenersi non è stato compreso ed apprezzato da una società che nel complesso si è sentita ancora fondata sul lavoro, tanto che il partito di Grillo nel giro di una legislatura ha dimezzato i voti e l’unica forza politica che con quel partito non aveva mai governato, anzi si era rifiutata di farlo, li ha decuplicati. Per cui le sorti del reddito erano segnate, sulla base di un esplicito mandato elettorale e quindi pensare a distanza di un solo anno di rilanciare una battaglia perduta, è il modo sicuro per garantire che i nemici del reddito restino al governo la prossima legislatura, anche se l’hanno disdetto con un sms. Beppe Grillo, al contrario di chi guida il suo partito, dispone di capacità intellettuali. Tanto che ha subito rilanciato la sua proposta sulla base di un nuovo concetto, questo effettivamente originale e privo di qualsiasi precedente. Egli ha detto che il reddito di cittadinanza dovrà essere necessariamente universale e quindi non peculiare alla società italiana, perché causa l’intelligenza artificiale centinaia di milioni di persone perderanno il lavoro. Questo bisognerebbe spiegarlo a Calenda, convinto che invece, alzando il livello salariale, ecco il reddito di cittadinanza sparire da se stesso.
Grillo andrebbe sempre ascoltato con attenzione, perché non è uno che parla a casaccio, conosce la Casaleggio associati che lavora nel campo dell’informatica e nell’innovazione, se quelli avessero la prospettiva di un aumento occupazionale se ne sarebbe accorto. Evidentemente già dall’ecommerce e di chi lo sviluppa sappiamo che invece il mercato del lavoro si ridurrà ulteriormente, da qui l’idea originale del reddito come è stata concepita autenticamente, ovvero su un presupposto strutturale, non per riprodurre un’esperienza passata ma per affrontare il futuro. L’unica cosa che Grillo non sa dire con certezza è quando esattamente questa società governata dall’intelligenza artificiale entrerà a pieno regime e quindi quando davvero il reddito sarà inevitabile. Non è proprio un dettaglio perché fino a quel momento, fino a quando ancora le nude braccia fanno la differenza, i teorici del reddito non prenderanno la maggioranza in una società di lavoratori, così come è stata pensata la nostra. Poi c’è un problema che Grillo ancora non ha messo a fuoco. Egli immagina in perfetto equilibrio una società mondiale in cui qualcuno non ha nessuna possibilità di entrare nel mondo del lavoro, e altri che invece ne deterranno il monopolio, una spaccatura perfino più ampia di quella che vi è stata fra proprietari e lavoratori, perché i proprietari, lo sappiamo dai tempi di Diderot, necessitano dei lavoratori, mentre i lavoratori non necessitano di mantenere nessuno con il loro lavoro. Per cui, per quale ragione una volta che si aprisse un baratro fra chi lavora e chi non lavorerà più, vi sarà la garanzia di un reddito? Un complesso sociale potrebbe decidere che chi non lavora non vada mantenuto piuttosto che eliminato. Nella storia dell’umanità si è prodotto più volte questo effetto e con conseguenze tragiche ancora in Ruanda fra Tutsi ed Hutu, attraverso proprio l’accusa di parassitismo. Ovviamente non si può però escludere che influenzata dalla bontà di Grillo e la dedizione della Casaleggio associati, l’umanità nel futuro migliori tanto da supportare volentieri coloro che mai faranno parte del mondo del lavoro. È come nella società delle api con i fuchi che finché non raggiungono la maturità sessuale bighellonano nell’alveare elemosinando il cibo delle operaie. Si tratterebbe di non essere indulgenti per un periodo di cinquanta, sessanta giorni, ma per uno di settanta, novant’anni, con il nostro prossimo meno fortunato. Allora resta solo una domanda, quanto si potrà essere indulgenti con chi dovrà essere mantenuto nello Stato per tutta la sua esistenza? Certo non gli si potrà dare una somma tale perché possa svolgere una vita oltre la semplice sopravvivenza. Il che pone un ultimo problema. Il fuco, si rassegna. L’uomo costretto ad una condizione di partenza ingloriosa che ne limita le possibilità, sembrerebbe di no.