La guerra di secessione americana nasce da una crisi della concezione istituzionale dello Stato a cui non è stata data una soluzione politica, in quanto ne ebbe una militare. Dopo cinque anni di guerra feroce e più di seicento mila morti, la Confederazione del sud non ebbe più risorse per combattere e si convinse suo malgrado alla resa. Lincoln impose una pax romana che per quanto equa, non fu accettata pienamente. C’è voluta una conquista dell’ovest per superare la conflittualità residua e le guerre indiane per cementare una popolazione che si era mantenuta profondamente divisa. Ancora fino all’omicidio di Jhon Fitzgerald Kennedy, un presidente del nord abolizionista, ucciso in uno Stato del sud segregazionista, viene da dubitare che quell’amalgama nazionale fosse stato finalmente compiuto.
Certo è che le principali forze politiche che hanno avuto il dovere di gestire la Nazione nella sua ricostituita unità si sono sempre preoccupate di tenere a mente una tale lezione del passato. Per questo Gop e democratici si riconoscono nelle istituzioni repubblicane, quali che fossero i loro dissensi politici. Nixon era convinto di essere stato imbrogliato ben due volte alle elezioni da esponenti democratici e mai si permise di contestare il risultato. Lo stesso avvenne per Al Gore in Florida, contro George W. Bush, quasi quarant’anni dopo. Per questa ragione è stata particolarmente grave la contestazione dello scrutinio nelle ultime elezioni presidenziali, soprattutto in quanto ha visto protagonista un presidente uscente che eventualmente, avrebbe dovuto rivolgersi alle corti preposte, mai al popolo direttamente.
Si capisce bene che per Joe Biden sia stato difficile accettare un’opposizione che si lega a chi non riconosce la legittimità del suo mandato e questo ha portato ad un gesto mai avvenuto nella storia americana, per l’appunto dal tempo della guerra di secessione. I due candidati alla presidenza rifiutano di stringersi la mano. La nuova campagna elettorale è stata segnata da questo gesto e dalla prospettiva di una nuova scomposizione dell’Unità statunitense, non sulla base geometrica degli Stati confederati, ma su quella politica di tutti i cittadini. Trump e Biden condividono la responsabilità di salvaguardare la tenuta del loro confronto elettorale in un contesto riconosciuto. Sarà il caso, anche per la loro incolumità personale, a questo punto, che se ne convincano il prima possibile, accettando di rispettarsi.
Sotto questo profilo sono insopportabili le contestazioni all’età di Biden che non è certo invecchiato tutto d’un colpo. Nel momento delle primarie democratiche Biden aveva gli stessi anni di oggi e se questo dava fastidio, bisognava farlo presente immediatamente. Non è mai accaduto che un candidato alla presidenza, superate brillantemente le primarie venga posto in discussione per la questione anagrafica ed è semplicemente ridicolo che lo si faccia ora perché chi tiene anche tre discorsi in un giorno si confonda sui nomi. Questo tipo di polemica è grave quanto quella inscenata da Trump a Capitol Hill. L’effetto sul tessuto democratico della nazione è comunque devastante, anche se non è un presidente ancora in carica a sollevarla, e ci si muove dietro le star di Hollywood come un sicario nell’ombra.
La democrazia americana ha davvero le spalle grosse, soprattutto in confronto ai sistemi di potere nel resto del mondo e lo ha dimostrato sempre nei momenti di particolare bisogno. La Russia senza l’America sarebbe diventata una colonia della Germania nazista e c’era chi riteneva fosse meglio aspettare ad entrare in guerra. Prima Mosca doveva essere occupata. Poi non c’è una ragione sufficiente per forzare la democrazia statunitense al limite del punto di rottura. Sparta e Roma dimostrano come nessun regime sia eterno in questo mondo e quando la competizione si rivolge a personalità di una certa esperienza, per non dire di una certa età, ci si attende anche un comportamento consono.