Se in Italia non ci fosse un problema comunista, come ha detto serenamente un ex ministro della repubblica che dovrebbe essere sotto inchiesta, il Pci non avrebbe cambiato nome. Perché mai farlo? Quando Gorbaciov venne a dire ad Occhetto che rischiava di essere l’unico segretario di un paese occidentale di un partito a chiamarsi in quel modo, il buon Akel gli poteva rispondere che era matto e risparmiarsi un avvenire rocambolesco. Il comunismo è la dottrina “dell’emancipazione dei popoli”, ha anche detto solo due giorni fa una illustre docente universitaria con la sua faccia di bronzo. Pensare che Mazzini la riteneva una dottrina buona per una società dei castori, ma se ci sono ancora dei docenti mazziniani, quelli non sono invitati in televisione. Bisogna spararle grosse per esser ospiti dei talk show.
Invece è vero che il problema comunista e quello fascista non possono essere equiparati. Il problema fascista lo abbiamo risolto tempo 24 anni con Mussolini appeso per i piedi. Mentre quello comunista precede ed anticipa quello fascista, Mussolini era un ammiratore di Lenin, e soprattutto il cadavere di Lenin giace ancora imbalsamato in una teca in un mausoleo sulla piazza rossa. Guardate in faccia Putin e rivedrete il volto di Lenin sotto vetro. Non è un caso che durante l’aggressione all’Ucraina i carristi russi che pensavano di arrivare a Kyiv in una settimana avevano inalberato la bandiera con la falce ed il martello. E ci sarebbe anche da dire questo, che il comunismo sovietico per quanto fallimentare, era più capace sotto il profilo bellico dei suoi miserabili emuli.
Che il problema dell’Italia non sia più il fascismo lo dimostra del resto la caduta delle riserve nei confronti del partito che ne radunava i reduci tanto da mandarlo al governo del paese. Non c’è dubbio che poi questo sia un colpo durissimo per chi è cresciuto nell’antifascismo vero, non quello dei salotti televisivi, ma non c’è motivo di rompersi la testa da soli, dal momento che nessuno ci è venuto a manganellare. La nostra costituzione è sufficientemente chiara a proposito e si è rivelata efficace abbastanza rapidamente nei confronti di coloro che hanno provato a soppiantarla già una volta. Ci sono cento basi militari americane in Italia a tutelarla. Poi abbiamo un capo dello Stato, grazie a Dio, che sa cosa deve fare. Il presidente Mattarella nelle turbolenze di questi mesi si è dimostrato impeccabile. Il 25 aprile si è recato all’altare della Patria e poi sui luoghi della resistenza nel Piemonte, cioè dove davvero nacque un movimento popolare, non di soli contadini, come dice qualche imbecille, che combatté il fascismo principalmente grazie alle armi degli anglo-americani. Questo movimento versò un tributo di sangue non indifferente per la libertà italiana e merita tutti gli onori.
Il presidente del Consiglio da parte sua non aveva ragione di scrivere al Corriere della sera i suoi pensieri sul 25 aprile. Se è stato superato nel giro di 80 anni il fascismo, è stata superata anche se in più tempo la santa inquisizione. Quello che si pretende dal presidente del Consiglio della Repubblica in occasione delle celebrazioni nazionali è che si conformi al comportamento del capo dello Stato e l’onorevole Meloni lo ha fatto. Quello che poi pensa sulla storia italiana è un problema suo, non nostro, giura Lei, non noi sulla Costituzione. Lo stesso vale per il presidente del Senato e per ogni ministro. Lo stesso dovrebbe anche valere per i membri dell’ANPI in occasione delle celebrazioni nazionali per lo meno. Tutti i cittadini hanno il dovere di rispettarle senza distinzioni politiche o ideologiche di sorta. Ci mancano sole le divisioni e le risse bottegaie davanti alla solennità della festa repubblicana. Se è proprio inevitabile ci sono altri 363 giorni all’anno per litigare.
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