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La Rivoluzione processata a San Mauro Pascoli

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
10 Agosto 2023
in L'editoriale
2
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Ogni 10 agosto San Mauro Pascoli, Forlì Cesena, rievoca la Rivoluzione Francese, quest’anno in un pubblico processo, con testi a difesa, ad accusa e la cittadinanza chiamata a deliberare. La data del 10 agosto 1792, pesa quanto quella del 14 luglio 1789. Se la presa della Bastiglia significa la fine dell’assolutismo monarchico, quella delle Tuileries, la fine della monarchia in Francia. Marx, che della Rivoluzione era un vero esperto, ne La Sacra Famiglia spiega che essa non supera mai l’ambito borghese. La questione sociale è subordinata a quella istituzionale, tanto che Marx pretenderà di capovolgerne lo schema per instaurare quella proletaria. Mentre i giacobini, lo abbiamo dimenticato, erano un club di origine parlamentare dove nessuno voleva abolire lo Stato, al contrario, da Sieyès a Robespierre volevano solo cambiarne l’ordinamento. Il marchese di Tocqueville che odiò la Rivoluzione con tutte le sue forze negò persino un suo valore politico. La Rivoluzione era solo un diverso modo di raggiungere quegli stessi obiettivi che la vecchia Francia falliva miseramente. E Tocqueville aveva ragione. L’aristocrazia e la monarchia erano esauste. Tocqueville per sfregiare la Rivoluzione le affibbia il suo significato più profondo, quello del necessario cambiamento delle classi dirigenti. Come poi questo si sia ottenuto, non importa. Lui stesso non se ne occupa. Tre quarti del suo studio sulla Rivoluzione sono dedicati all’analisi dell’Ancien Régime. Eppure l’esperienza repubblicana in Francia toccò punte di atrocità, tanto che il processo di San Mauro assume ancora oggi un valore attuale. Negli anni passati, nella cittadina romagnola c’era comunque chi, in questo giorno, lamentava misure poco radicali. La Rivoluzione non ha versato abbastanza sangue, ecco la verità. Marat chiedeva 170 mila teste, e non se ne sono contate nemmeno trentamila. Con Bonaparte sono morti tre milioni di uomini in tutta Europa? Collot ne voleva 12 nella sola Francia e Guffroy sosteneva che una popolazione di 5 milioni di abitanti dei ventitre che c’erano sarebbe stata sufficiente. “Che mi importa essere chiamato bevitore di sangue?” e questo è Danton, l’indulgente.

Bisogna sempre tenere a mente che la Repubblica non era una soluzione preventivata nell’epopea rivoluzionaria. La Rivoluzione pretendeva una monarchia costituzionale sul modello inglese anche perché i repubblicani in Francia prima della fuga del re, secondo Desmoulins erano due di numero. Guardiamo l’effetto della rivoluzione sul capo del partito progressista britannico, Edmund Burke. Burke condanna sin dal 1789 il processo rivoluzionario e lo bolla di terrorismo ben prima che il Terrore fosse messo all’ordine del giorno. L’esponente wigh capisce immediatamente che senza il concorso della monarchia il pozzo si sarebbe avvelenato. Il ministro statunitense Moore, inviato a Parigi, riferisce al presidente Washington un’idea complementare, ovvero che è insensato combattere l’aristocrazia. Burke accusava i rivoluzionari di non comprendere la storia che facevano, tanto che il 10 agosto nessuno di questi credeva davvero alla caduta del re. Piuttosto erano convinti che il governo girondino si sarebbe suicidato. Marat, Danton, Robespierre, il 10 agosto si nascondono. La popolazione di Parigi resta in casa. Si muove un battaglione di Marsiglia guidato dal girondino Barbaroux e le sezioni più irrequiete della capitale vengono a ruota, all’Arcivescovado o ai Gravilliers si radunano gli agitatori di professione, in tutto 1000, 1500 persone. Bonaparte che senza incarichi segue gli eventi, annota che con una sola batteria piazzata sul carrousel, l’insurrezione sarebbe finita prima di iniziare. Poi guarda il re ed i suoi gentiluomini del pugnale. Altro che guidare la Francia. Non sapevano nemmeno piazzare un cannone.

Dal tempo di Tolstoj si è sempre fatto più forte il dubbio sulla razionalità e la progettualità della storia. Passate pure al setaccio le dinamiche rivoluzionarie, quasi non se ne scorge un nesso logico. Gli eventi precipitano uno dietro l’altro. La giornata del 10 agosto fu particolarmente emblematica. I vincitori avevano già le valigie pronte e preso il possesso del palazzo e con il re nelle loro mani, vorrebbero rimetterlo sul trono. La Gironda che ha organizzato il colpo non sa stare senza un padrone con cui litigare. La sua massima aspirazione era minacciare il re e venirne bastonata. Per questo finisce la Gironda, per la sua pochezza. La piazza che se ne sbarazza, i cordiglieri prendono il comando, si mostra persino peggio. Danton che doveva esserne il capo, preferisce ritirarsi nelle sue terre a passare le notti alla finestra. La Repubblica ritrovata alla fine della giornata del 10 agosto, l’11 è già sull’orlo del precipizio. Luigi sedici rinchiuso nel Tempio con la famigliola, era forse preoccupato? Nemmeno per sogno. Era sicuro che tempo tre settimane gli austriaci sarebbero arrivati per riporlo sul trono. Cos’è che davvero impedì questo ritorno? Il fiume di sangue che venne fatto scorrere da settembre in poi senza interruzione. La Repubblica per affermarsi aveva bisogno di una negazione. Il filosofo della Rivoluzione non è Rousseau, è Hegel. A San Mauro Pascoli giudichino pure come si preferisce. Chi voleva una rivoluzione senza la rivoluzione, si teneva i preti, gli aristocratici ed il re e la Francia in breve si sarebbe spenta, esattamente come era accaduto alla Spagna. La Repubblica zuppa di sangue forgia una nuova generazione. Qualcuno più capace emergerà per forza delle cose, semplicemente per non morire. “La Rivoluzione non ha bisogno di scienziati”, dice Herman a Lavoisier, prima di consegnarlo al boia, Lavoisier venne denunciato come fermier ovviamente, solo in tribunale si apprende dei suoi studi. Eppure uno scienziato della Rivoluzione c’è eccome, è Darwin.

Foto Vizille, Musée de la Révolution française | CC0

Tags: processoSan Mauro
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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Comments 2

  1. Germano says:
    2 anni ago

    Complimenti

    Galli politologo , corriere della sera ,
    condanna la rivoluzione chiedendo l’ applicazione dell’articolo che condanna a pena pecuniaria da 5000 a 15000 per creduloneria
    Il difensore spiega che grazie a lei c’è libertà ed eguaglianza che vuol dire abolizione di privilegi .una modernità che ancora oggi ci condiziona positivamente

    Rispondi
  2. Riccardo Bruno says:
    2 anni ago

    Poi ti stupisci che c’era la ghigliottina

    Rispondi

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