L’autore è intervenuto la scorsa settimana presso il Grattacielo Pirelli di Milano al convegno ‘Milano Capitale Italiana in Europa’ sui temi: Milano e il riformismo, Milano e il liberalismo, Milano e l’Europa. Pubblichiamo il suo intervento.
Milano: è questo l’oggetto centrale delle nostre argomentazioni. Una città atipica, una città con un proprio ecosistema, che ha fatto dello sviluppo, in tutti i campi, la sua cifra distintiva. Questa città ha sempre avuto, e lo dico con ammirazione data la realtà culturale da cui provengo, una forte indole riformista, repubblicana, ma anche un animo protestante, dove l’etica del lavoro, del dovere, è all’ordine del giorno. Questo, più di tutto, a mio parere differenzia Milano dal resto del nostro paese.
La storia di Milano stessa è diversa. Basta citarne alcuni piccoli esempi. Nel 1907, Luigi Buffoli, Presidente dell’Unione Cooperativa di Milano, un vero e proprio self made man, di ritorno dal congresso di Londra per le case popolari, ideò alle porte di Milano una città giardino, su modello inglese, che poi si sarebbe chiamata Milanino (oggi nel comune di Cusano Milanino). Un milione e trecento mila metri quadrati di villette, viali e servizi all’avanguardia. Il tutto era immerso nel verde, oltre che provvisto di una grande scuola pubblica – successivamente raggiunta anche dalla rete tramviaria. Questo è quando lo sviluppo si concilia con la sana amministrazione. Quando l’impresa fa comunità. Anno, ripeto, 1907. Roma non aveva ancora un piano regolatore. Milano, invece, aveva già qualcosa (le “garden town”) che la metteva in competizione non con Parigi, non con Berlino, non con New York, ma con Londra, solo con Londra. Ed è un peccato che il modello Milano, prodotto e artefice di quel modello Milanino, che ci è arrivato fino ad oggi, basti andare con la macchina 15 km a nord o 15km a sud per non riscontrarlo più.
Ma come è potuto succedere tutto questo, a Milano? La prima ragione, la più tecnica, è la sua innata apertura ai mercati esteri, di cui già si è parlato. Oggi a Milano è presente un terzo delle multinazionali del paese, e solo questo un terzo dava, nel 2017 – per Il SOLE 24 Ore – lavoro a 284 mila persone. Ma c’è anche un’altra ragione. Milano è la città che ha più laureati in Italia, e in cui essi verosimilmente più trovano lavoro. Milano ha poi 7 università, 264 scuole secondarie di secondo grado tra licei ed istituti tecnico/professionali, e 125 scuole secondarie di primo grado. Se poi contiamo anche la città Metropolitana, che dal 2015 ha sostituito la Provincia di Milano, arriviamo a 2248 scuole di ogni ordine e grado. La città ha, insomma, un apparato educativo che le permette di reggere il suo tenore di sviluppo, e di superarlo. La capitale economica non può che essere anche la capitale culturale. Il progresso economico, di cui hanno parlato tanti studiosi non solo liberali, va a braccetto col progresso culturale. Diciamola in parole povere: lo sviluppo economico può non essere fine a se stesso.
Ad ogni modo, se c’è una lezione che, credo, Milano possa dare a noi giovani, quella è che il futuro non è frutto della provvidenza, ma si realizza, si progetta. Grazie a uomini coraggiosi, visionari, come il cooperatore Luigi Buffoli di cui vi ho parlato, Milano ha in ballo, da secoli, una scommessa col mondo e il progresso, e l’ha vinta. È ora compito di quell’Italia della ragione – parola alta ma non vuota – di cui tanto parliamo, prendere esempio.
Bravo Valerio, ottimo intervento !