Lo Stato è comunità. È qualcosa che si accende nei suoi cittadini. Ci va di mezzo l’amore. Le sue leggi, se non hanno la vita dentro, la vita del popolo, se sono un freddo applicare del legislatore, sono ‘estranee’, cioè un corpo morto, un qualcosa di esterno, destinato a diventare cenere. Nel 1869 Spaventa pubblica Principi di etica. In realtà non era questo il titolo, il titolo originale era Studi sull’etica di Hegel, fu Gentile a cambiarlo, nella prima recensione e poi amen. Con Croce e Gentile andava così, cosa era vivo e cosa morto nelle filosofie altrui lo decidevano loro. «Lo stato è la comunità, la sostanza etica, come assoluta personalità (che sa, vuole e produce se medesima. Questa assoluta personalità è la potestà, la sovranità politica».
«La potestà politica», spiega poi, «non è una mera unità collettiva, come si dice: una specie di polipo politico; né è una pura singolare individualità. Essa è la comunità stessa come unico sapere, volere, potere. Questa unità che sa, vuole e produce se stessa – e il se stesso qui è la comunità medesima – è così in sé essenzialmente organismo, sviluppo».
Ora, questo organismo ha una forma, reale e attiva, che per Spaventa è la Costituzione. Che non è una schema o un luogo comune, in cui possiamo adagiare gli stati indifferentemente. «La vera e reale costituzione è quella che è propria, intimamente propria, dello stato; ogni stato, in quanto è un tutto vivente, ha la sua. Non è qualcosa di estrinseco, di artificiale che possa adattarsi a piacere a uno stato, come una verte o una camicia. Se la costituzione è una camicia, lo stato nasce, dirò così, incamiciato, o s’incamicia da sé; è stoffa, disegno, sarto, e camicia a se medesimo». Stoffa, disegno, sarto, camicia sono le quattro cause di Aristotele. Una cosa è quello che è perché in una materia la forma ideale mediante la causa motrice determinata da essa raggiunge se stessa e così il fine dell’ente. L’unità delle quattro cause è la causa creatrice: l’unità positiva. Lo stato è questa unità. «La materia sono gli interessi individuali, le affezioni, le opinioni; la forma presa per sé è la costituzione che non si può separare dalle altre cause, nella cui unità è l’attualità dello stato. L’ente, che è lo stato, è causa di sé, causa creativa, in quanto è unità delle quattro cause. Se di queste quattro cause si fa tanti enti separati e si prende ciascuno per sé e si muta a piacere, indipendentemente dall’altro, come quattro grandezze, manca quella unità organica, che è la vita dello spirito. Questa non è la somma: a + b + c + d».
E invece spesso la cosa la si intende proprio all’opposto, e cioè si astrae la forma, la si considera per sé, la si fissa nella scrittura, si traduce in tutte le lingue e la si porta in giro come un farmaco che tutto possa guarire. «In Francia si è fatto così; dunque in Italia si ha da fare così. Si fa astrazione dalla vita storica, cioè dalla vita. Costoro possono chiamarsi gli scolastici della politica; scolastici di tutte le specie, del progresso e del regresso, della rivoluzione e della controrivoluzione».
Infine la causalità politica come causalità efficiente, positiva è il governo. Ma una concezione diversa da quella detta, cioè non intendere lo stato una totalità vivente, vuol dire ammettere che il governo possa essere un nemico dello stato e del pubblico bene. Un corpo estraneo al tessuto di cui fa parte. E i corpi estranei, per la salute del tutto, in genere si tolgono.
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