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L’amico dei lavoratori

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
7 Agosto 2023
in L'editoriale
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Badate bene di non negare mai un elemento religioso alla vita economica senza il quale potrebbe scadere a mera avidità. I calvinisti ritenevano necessaria una dedizione professionale intensa per giustificare il guadagno. Se i soldi gli fossero piovuti in testa mentre stavano a guardare il cielo, avrebbero dubitato della benevolenza del Signore nei loro confronti. Sono ancora rilevanti i saggi di Max Weber sull’etica protestante e lo spirito del capitalismo. Due diversi modi di intendere l’economia, uno come un utile al fine di realizzare i godimenti dell’uomo, l’altro per cui il godimento dell’uomo è il solo guadagno. Secondo Weber i paesi cattolici erano propensi al primo modello e nemmeno capivano la virtuosità del secondo. Per questa ragione essendo l’Italia un paese cattolico per eccellenza, la Spagna al confronto sembra diventata luterana, non vale la pena di discutere l’intervista a Repubblica di Carlo Calenda quando giudica “un’idiozia” “la dichiarazione del Mef per cui non ci sarebbero le necessarie coperture ad un salario minimo generalizzato a 9 euro”. Calenda ha sicuramente ragione. Poi le opposizioni hanno previsto “una soluzione molto valida”, altrimenti una personalità seria come la Sua, mica passa le serate al Twiga Calenda, mai l’avrebbe firmata. “L’istituzione di un fondo in legge di bilancio per indennizzare i settori che sono più colpiti dall’aumento delle retribuzioni”. Non vogliamo indennizzare le imprese? Non importa, che finiscano pure al tappeto. A Calenda importa solo “che sotto i 9 euro l’ora non può lavorare nessuno”. Se non è una posizione religiosa questa, possiamo tormentarci negli inferi per sempre come quel disgraziato che fuori dal mercato del lavoro da cinque anni trova un posto a sei euro e deve rinunciarci perché non sarebbe dignitoso. Aspetta altri 12 mesi che Calenda, l’amico dei lavoratori, porti l’impiego a nove euro. Grazie onorevole Calenda.

Quello che è un pochino più difficile da capire è piuttosto come Calenda ritiene l’introduzione del salario minimo un modo per combattere l’inflazione. Perché una volta appurato, come egli stesso dice, che serve un fondo per consentire l’adeguamento salariale, nel caso migliore, i prezzi rimarrebbero gli stessi, la produttività colmerebbe l’investimento fatto. Nel caso peggiore, le imprese chiudono e con l’inflazione ci troviamo pure la recessione. Comunque questo aspetto è ritenuto secondario, solo sollevarlo è dimostrazione di essere privi di fede. La missione principale riguarda infatti le 500mila persone a cui una volta levato il Reddito di cittadinanza “bisogna poter trovare un lavoro che sia pagato in modo dignitoso”. Esse, “non possono aggiungersi ai 5 milioni già in povertà lavorativa”. Si credeva di legger Calenda ed ecco che leggiamo Conte. Solo che allora questa improvvisa utilità del reddito di cittadinanza che piaceva a Di Maio, richiede un chiarimento. Le 500 mila persone senza un reddito, sono indirizzabili professionalmente, come dice Calenda, o sono destinate a restare fuori dal mercato del lavoro per lo meno in grandissima parte? Perché se non erano state già assorbite in un mercato del lavoro che prevedeva contratti sotto i nove euro, hai voglia a sperare che vengano assunte a nove, soprattutto nel caso in cui le imprese non fossero assistite dallo Stato.

Poi per carità cristiana, non si può dar torto a Calenda quando sussurra che “In Italia cominciano a essere troppi i contratti che non garantiscono un salario decoroso”. Purtroppo, non si aumentano gli investimenti capaci di generare profitti, non si reperiscono risorse e si continua con la spesa in debito. Va a finire che l’inflazione si mangerà anche il salario a nove euro e fra un anno saremo daccapo, ovvero proprio appena il salario minimo di Calenda è stato varato, già non vale più niente.

Resta autentico mistero della fede, come, una volta imposta una soluzione extracontrattuale, la contrattazione ne giovi. Ma se il novanta per cento della contrattazione nazionale non è ritenuta sufficiente e per coprire il resto del mondo lavorativo, occorre una soluzione diversa, chi ti assicura che nel giro di due anni, il novanta per cento della contrattazione nazionale si adegui al dieci per cento della soluzione governativa, impoverendo i salari più alti? Altrimenti, Di Vittorio, Lama e Trentin, che mai lo hanno voluto il minimo salariale, erano davvero degli stolti. Insieme alla religione bisogna anche considerare ogni tanto la storia dell’economia. Ingessa il mercato e quello magari ti si rivolta al contrario, con il muso storto.

Tags: Calenda.salario
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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