Nella primavera del 1969 le forze americane si concentrarono nella valle di A Shau al confine del Laos per colpire l’attività nord vietnamita particolarmente intensa in quell’area. Il comando statunitense riteneva fondamentale raggiungere quota 937, una collina dove si concentravano i principali battaglioni nemici. Nonostante le ingenti perdite subite, il completo successo dell’operazione venne considerato come un viatico alla vittoria finale della guerra, ad esempio il direttore de La Voce Repubblicana di allora, Pasquale Bandiera, scriveva con una certa cognizione di causa che era evidente come l’esercito americano non avrebbe potuto che costringere alla resa il nord Vietnam. Per la verità Bandiera non sbagliava, infatti nel 1973 a Parigi l’aggressore, Hanoi, venne portato a firmare gli accordi di pace con l’aggredito, Saigon, ma non sulla base della vittoria militare sul campo, quota 937 tornò abbastanza rapidamente nelle mani dei nord vietnamiti, ma per la capacità di fuoco dell’esercito statunitense. Appena l’America si ritirò, il Vietnam del nord ruppe gli accordi ed invase il Vietnam del sud sapendo che il Watergate avrebbe impedito ogni ipotesi di re intervento statunitense nell’area. In altre parole, l’America vinse la guerra del Vietnam e perse politicamente.
Un simile scenario come, è evidente, non ha nessuna possibilità di paragone con l’attuale situazione in Ucraina, ma consente comunque una certa analisi militare. Il Vietnam del nord disponeva di un esercito formato dalla vittoria su una potenza coloniale come quella francese, il Vietnam del sud era complessivamente smilitarizzato, una evidente sproporzione che corre praticamente anche tra la Russia e l’Ucraina. Però i russi oggi non combattono contro intere divisioni statunitensi, ma solo l’esercito regolare ucraino. Per quanto questo possa essere rifornito ed equipaggiato e persino assistito da un volontariato occidentale ha dell’incredibile che in tre mesi di guerra i russi abbiano preso Mariupol e Severodonetsk e che li considerino obiettivi strategici dopo averli rasi al suolo e rischiando epidemie. Considerate le dimensioni dell’Ucraina, non essere nemmeno riusciti a conquistare l’intero Donbass che pure dovrebbe avere un 35 per cento di popolazione russofona, significa essere persino dietro al successo americano conseguito ad A Shau, senza contare le ingenti perdite subite fino a questo momento. Vi si aggiunge anche che gli aerei di rifornimento statunitensi negli anni ’60 non precipitavano per malfunzionamento come quelli cargo caduti a Rjazan solo ieri l’altro.
Francamente si capisce come davanti ad un quadro militare così misero che è servito solo a rinsaldare i legami dell’est europeo con la Nato o ad estenderli a paesi che volevano esserne estranei, al Cremlino perdano la testa e si mettano, è successo, a minacciare di bombardare Londra. Siamo oltre al limite del ridicolo. Nelle attuali condizioni sul campo i russi farebbero meglio a conservarsi qualche munizione per quando arriverà la controffensiva ucraina. La formidabile avanzata nel Donbass, infatti, è avvenuta, mentre Kiyv sta ancora aspettando la fornitura delle nuove armi.
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