In occasione del 227esimo anniversario del tricolore il presidente Mattarella ha ricordato le radici della Repubblica Cisalpina, che significa sostanzialmente collocare le radici dell’unità nazionale nella rivoluzione francese. Dobbiamo infatti alla Francia se quasi 4 milioni di italiani si emanciparono dal dominio austro ungarico e si di diedero un primo embrione di vita democratica, che pure, va sottolineato, era solo un embrione. La prima Repubblica italiana venne costituita a Lione nel 1802 rigorosamente formata da notabili, per quanto prestigiosi fossero e sottoposta ai voleri del primo Console francese Napoleone Bonaparte. La stessa precedente repubblica Cispadana, per quanto autoctona come governo e di prim’ordine, rispondeva all’ordinamento francese. Pavia che insorse rifiutando i tributi e volendo mantenere i suoi preti, vide la popolazione decimata.
Quello che appare come una miseria e persino durata brevemente, nel 1805 la Repubblica già assume il nome di regno d’Italia più rispondente alle esigenze dell’Impero francese, era moltissimo. Il solo codice napoleonico comportava uno Stato di diritto sconosciuto nelle città italiane sottoposte all’angusto ordine austriaco, o a quello persino peggiore della Chiesa. Poi il dispotismo francese aveva pur sempre tratti liberali, era il cosiddetto “dispotismo della libertà”, funzionale ai benefici per il singolo individuo in una prospera collettività. L’uscita dal feudalesimo europeo insomma. Il problema è che queste nostre radici vengono imposte dall’esterno, perché senza le armate di Bonaparte, gli italiani erano insorti giusto nel napoletano e vennero schiacciati dai contadini organizzati dai preti, dai Borboni e dagli inglesi. Le nostre radici nazionali si ritrovano quindi nella Francia di Bonaparte. L’Italia era considerata un niente, come diceva Metternich, un’espressione geografica. Solo Mazzini, nato a Genova nel 1805, da famiglia giacobina e educato da un cugino della madre colonnello dell’armata d’Italia, riuscì a riprendere dalla Repubblica cisalpina un filo progettuale e pensare all’Italia come ad uno stato nazionale democratico ed indipendente. E fu sempre Mazzini ad accorgersi dolorosamente che per raggiungere l’Unità nazionale il modello repubblicano, travolto a Roma proprio ed incredibilmente dalla Francia e da un altro Bonaparte nel 1849, non era sufficiente.
In meno di 50 anni si consuma il dramma della Repubblica italiana, dove la forma repubblicana non ne ha vissuti nemmeno dieci. Quando caduto il Regno d’Italia napoleonico ci si è ritrovati in piena restaurazione per altri trent’anni buoni. Bisogna aspettare i moti milanesi del 1848. Poi il Piemonte si mostrò abilissimo, grazie al conte di Cavour, non certo per merito della famiglia reale, a mettersi alla testa dell’indipendenza italiana anche se con uno spirito, come si vede già in Sicilia, e come lamenteranno poi i lombardo veneti, Cattaneo in su tutti, colonizzatore. Il tricolore venne mantenuto, bastava appiccicarci sopra lo stemma di casa Savoia, eppure all’Italia savoiarda era preferibile l’Italia bonapartista che almeno le guerre le vinceva. I Savoia riuscirono a perdere persino la vittoria della prima guerra mondiale, preparandosi a perdere tutto e pure disonorevolmente. Anche per questo è difficile far sventolare in alto il tricolore e per farlo bisogna come ha detto il capo dello Stato, riprenderne le origini, la promessa di libertà e di unità, che i milanesi, i padani, i veneti, gli emiliani, i romagnoli, i toscani subito raccolsero. Per altri fu necessario più tempo, mentre altri ancora, corrono il rischio di abbracciare il tricolore sbagliato. Anche la Repubblica sociale riprese il tricolore e persino con un’aquila che sembrava più un gallinaceo.