Il movimento pacifista farebbe bene a ricordare i 150 anni della nascita di Bertrand Russell, il primo non stalinista ad opporsi individualmente alla guerra. Russell nato il 18 maggio del 1872 era un rampollo annoiato della più squisita aristocrazia britannica, in una versione antitetica a quella di Churchill. Winston era un entusiasta dell’Inghilterra vittoriana che bramava scalare tutte le tappe della gloria. Bertrand, di due anni più vecchio, semplicemente, riteneva l’Impero immorale. Mentre Churchill passò la giovinezza in imprese militari sparse per l’impero, Russell allo scoppio della Prima guerra mondiale finì in galera per aver condannato l’interventismo britannico e quello statunitense. Quando Hitler invade la Polonia, Russell vuole invitarlo a prendere un the e offrirgli il pranzo convinto che un buon vino possa far ragionare il caporale boemo e persino distoglierlo dal suo antisemitismo.
Russell era una mente fondamentalmente logica, convinta dell’ampia portata dissuasiva dell’illuminismo razionale, tanto che a malincuore si convise come la guerra ad Hitler fosse complessivamente un male minore. Il suo pacifismo venne scosso ancora più duramente nel secondo dopoguerra. Di fronte all’espansione sovietica fu accusato di aver sostenuto in una sua lezione universitaria la necessità di un attacco preventivo atomico su larga scala. Per Russell l’Unione sovietica minacciava l’intera esistenza della specie umana. La questione fu controversa, e l’antisovietismo di Russel si attenuò con la guerra del Vietnam dove assunse posizioni più banali come quelle antiamericane di Jean Paul Sartre.
Questo aristocratico inglese mostrava una certa ambivalenza, comunque interessante. Egli ha il torto di precedere Popper nel comune sciocchezzaio sulle dottrine totalitarie. Anche Russel ritiene che Rousseau ed Hegel sarebbero i responsabili dell’assolutismo del ‘900. Gli studi storico filosofici non erano il suo forte. Eppure mostra intuito notevole. È Russell a dire che l’opera di Marx corrisponde perfettamente alla mistica cristiana. Dio è il proletariato, il figlio è il partito, lo spirito santo la Rivoluzione. Anche il suo contributo alla logica formale è geniale, basta il famoso paradosso del “tacchino induttivista”. Il tacchino si accorge di venir nutrito e in qualsiasi condizioni ambientali, alle nove del mattino in punto. Indi per cui annota con soddisfazione di mangiare sempre a quell’ora. Osservazione esatta, tranne nel giorno in cui alle nove sarà ammazzato. Curioso notare come Benedetto Croce e Julius Evola, poco apprezzassero questa straripante vena di pensiero.
Russell conclude la sua vita negli anni settanta del secolo scorso sostenendo i diritti degli omosessuali, lui che era quasi un collezionista di mogli. Tanta versatilità, capace di cadere in contraddizioni come in errori clamorosi era pur sempre suffragata da una ricchezza che manca alla calma piatta, senza scosse, e al dunque senza rilevanza, di un certo tipo di intellettuale europeo. Quello oggi rimasto dominante.