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Il 25 aprile di Paola Bergamo

Redazione di Redazione
24 Aprile 2023
in l'Intervento
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L’amica Paola Bergamo ha voluto condividere con i lettori de La Voce Repubblicana la sua riflessione sul 25 aprile

Per me che sono di Venezia il 25 aprile è festa doppia. 
Il giorno della Festa della Liberazione  cade nel giorno di San Marco patrono della mia Città. È tradizione si regali alle donne un rosso bocciolo di rosa. 
È la Festa del Boccolo, simbolo d’ Amore imperituro che è quello che si ha anche verso la Patria.
Dice bene Antonio Polito sul Corriere della Sera di qualche giorno fa che “ci sono ostilità di troppo” e che “non tutti gli antifascisti erano democratici, anche se tutti i democratici furono antifascisti”.
Gli Storici il Fascismo l’hanno studiato e lo studiano tutt’ora perché, come diceva Mario Bergamo, “con il Fascismo avremmo dovuto far di conto ben più della durata del suo Ventennio” e rintuzzava che “c’era tanto fascismo pure nell’antifascismo” talora più di maniera che vera “Opposizione Storica”, quella che lui continuava a predicare dal suo Esilio di Parigi.

Ecco quindi che il 25 aprile appare ancora data di reciproca sfida anziché di pacificazione e pace. Sono fin troppo esplicite le distorte dinamiche di una politica scenica quando non oscena che insiste a rendere il 25 aprile divisivo, vanificando il senso e il valore della Giustizia, della Verità e del peso della Storia, rendendo il Fascismo un melodramma da operetta anziché il “memento” del più grande dramma degli Italiani. Ancora una volta così si danneggia il senso di Appartenenza, il Valor Patrio,  il senso di Nazione, di uno Stato in fondo giovane, dove tutti abbiamo bisogno di sentirci convergere e albergare fratelli più che figli cortocircuitanti.

La retorica di questi giorni, l’accidia che vi si respira, instilla una divisione velenosa quasi volta a distogliere il Paese dalle necessità e urgenze palesando una classe politica che appare per lo più arrabattarsi mentre mette in scena una riedizione delle Baruffe all’Italiana. Questo allontana ancora di più il Paese reale dal Metaverso surreale quale oggi appare relegata la politica non proprio solo Italiana. Di come andarono le cose in Italia, avrei tanto da dire. Mio Nonno, Mario Bergamo fu costretto all’Esilio nel 1926 e non tornò più. Preferì morire all’estero auto-dannandosi ad un esilio dapprima necessario e poi volontario.
Aveva sognato e lottato per una Italia libera, ma che sapesse liberarsi da se dal giogo della dittatura sì daessere libera davvero, da non dovere niente a nessuno.

Mio padre, a soli 4 anni, fu catapultato in un paese straniero. Sbeffeggiato dai compagni francesi perché “Macaroni’”, restò Italiano, non si naturalizzò francese e si cimentò, come poteva, a onorare pure lui bambino, la Patria Italiana diventando sempre il migliore della classe in Francia,  vendicando così, come poteva, il suo Paese. 
Il Nonno era dovuto fuggire per salvarsi la pelle, quando, all’indomani dell’attentato al Duce a Bologna nel ’26 fu accusato ingiustamente di esserne il mandante. Verso di lui si era aperta la caccia all’uomo quando sul Corriere Padano, fu definito “lurido, infame nemico del Fascismo “ e si incitavano gli squadristi a portare a compimento l’opera di soppressione riservata a mio Nonno che fino ad allora era stato picchiato, malmenato e più volte era stato devastato il suo studio di avvocato. 
Fuggendo salvò anche il Partito Repubblicano di cui era Segretario Nazionale che ricostruì a Parigi e da lì riprese con forza la lotta contro la Dittatura.  

Non sono solo i documenti d’archivio o lettura dei  libri degli storici ad aver costruito la mia conoscenza e consapevolezza del dramma che fu il Fascismo,  ma pure la storia vissuta direttamente da bambina, ascoltata dalla voce di Linda Garatti, già fervente politica e attiva pure nel grande sciopero di Crocetta del Montello del ‘13, sorella di Celso Maria Garatti, quello di “Temistocle la vuole così”, drammaturgo di successo negli anni ‘40, moglie di Mario, Repubblicano in esilio, madre di Giorgio, e infine Nonna di Paola. Se il Nonno non tornò, il fratello Guido, altro illustre repubblicano e antifascista, era invece andato partigiano per combattere la dittatura costituendo la prima organizzazione militare unitaria triveneta della Resistenza contribuendo alla formazione dei nuclei partigiani. Durante l’insurrezione comandò la piazza di Mestre e ne stornò la ritirata germanica. Così fin da bimbetta mentre sgambettavo nel giardino di casa, cominciavo a capire cosa significa veramente “C’etait pendant l’horreur d’une profonde nuit” per dirla con Racine, come mio Padre ricordò nella seconda di copertina del suo “Addio a Recanati” ( Einaudi – 1981 per la collana dei Coralli).

Gli avvenimenti che accaddero sono storia d’Italia ma anche della mia famiglia.  I conti con la Storia si devono fare senza rancore. 
Ad uno ad uno stanno scomparendo i protagonisti di quel tempo e dobbiamo ai giovani una onesta narrazione, non lo spettacolo rissoso che nulla ha a che fare con il dovere di trasmissione della conoscenza di quello che fu un calvario nazionale che va dalla entrata in guerra, alla spedizione e ritirata di Russia, alla guerra partigiana e quella dell’esercito regolare rigeneratosi dopo l’8 settembre fino alla liberazione del Paese, e finalmente la sua ricostruzione e il boom economico. Il 25 aprile è di tutti perché in esso vi si racchiude il sangue di tutti, anche dei vinti, come ebbe a sottolineare Paolo Pansa, un comunista che pensava di fare  cosa buona mostrando “l’altra faccia della medaglia”. Finì per scontentare tutti, messo all’indice in un paese che non sa fare la pace nemmeno dopo 75 anni non dismettendo obsoleti dogmatismi e settarismi. 
Storia e Memoria.

È il giorno, quello della Liberazione, in cui l’Italia, consapevole degli errori e degli orrori autoinflittasi , dovrebbe festeggiare la fine della Guerra, la caduta della Dittatura e la Libertà che fu libertà per tutti. 

C’è un interessante libro dal titolo “Il cavallo rosso” e si compone di una trilogia.

• Il cavallo rosso, che racconta le vicende della prima parte della guerra (anni 1940-1943);

• Il cavallo livido, che racconta la seconda parte della guerra (biennio 1943-1945) con tutti i suoi tragici strascichi;

• L’albero della vita, che narra le vicende relative alla ripresa della vita quotidiana dopo il conflitto e arriva fino agli anni del ’68 con le sue inquietudini.

L’autore, Eugenio Corti, un cattolico, descrive bene uno dei tratti che caratterizzò il tragico momento storico dopo l’8 settembre del ’43. 
In una stessa famiglia c’era chi indossava la divisa della RSI, chi era andato Partigiano sulle montagne, chi indossava la divisa dell’Esercito Regolare di Liberazione che coadiuvò, poi, gli Alleati. Poteva accadere che due fratelli ignari oppure persino consapevoli, si sparassero l’un l’altro pur volendosi bene. Questo fu un vero dramma d’Italia e della sua guerra civile verso la Libertà.
Il libro, con le sue 34 edizioni, ebbe molto più fortuna in Francia che in Italia. La Francia è la terra che accolse e diede rifugio ai profughi del Fascismo come mio Nonno o Pietro Nenni che fuggirono insieme, il primo caricandosi  il secondo sulle spalle che non poteva più camminare e sarebbe stato catturato o avrebbe reso vana la fuga di tutti. Quella Francia che diede l’ospitalità pure a Sandro Pertini, poi divenuto Presidente della nostra Repubblica, ma che per sbarcare il lunario in esilio faceva il muratore, l’imbianchino e pure il tassinaro, mentre mio Nonno, nella capitale francese, sebbene avvocato, faceva il correttore di bozze,  e non dismetteva di mettere a repentaglio la sua stessa vita per salvare ebrei e perseguitati politici dalla furia nazista  entrata anche a Parigi. 
La casa di mio Nonno e quindi di mio Padre, era il crocevia in cui si riuniva ciò che restava della politica italiana e la Concentrazione Antifascista.

Conosco il dolore e la sofferenza che avvolse la loro vita. 
Ho imparato quale fu la forza che ardeva nel loro cuore, nel loro pensiero e nella loro azione. 
Mai mi trasmisero odio, solo amore per la Patria.
Nessun rancore per quell’orrenda notte buia, però mi indispone chi usa ogni occasione per infiammare gli animi. Una stigmate che offende il senso della storia, il valore della politica con strilla e isterismi di maniera che ne disvelano la poca sostanza, offendendo la memoria di chi ha versato il sangue per noi.

Un amico, dice che questo è il Paese dei melodrammi, proprio come gli accadimenti di questi giorni. A volte pare di essere a Teatro in una riedizione delle  “baruffe chiozzotte” goldoniane. Un po’ come i talk show tanto in voga quasi che la gente si lasci convincere da chi più strilla mentre non solo volta annoiata il canale ma non va più nemmeno a votare.
Resta un Paese bizzarro quello che non festeggia il XX Settembre 1870 e la sua “breccia” (Porta Pia), che ricorda a mala pena e in sordina il 4 Novembre 1918 e che bisticcia di continuo per il 25 Aprile che di fatto chiuse la Seconda Guerra Mondiale.
Mi chiedo i giovani cosa coglieranno di tutto questo inutile brusio.
Certo è che il mio 25 Aprile lo festeggio nel nome della Libertà della mia Nazione respirando il profumo di un rosso bocciolo di rosa.                

per concessione del Giornale Nazionale

Tags: 25 aprileBergamo
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