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Lo scivolone della Francia

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
12 Aprile 2023
in L'editoriale
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In linea di principio il presidente Macron ha perfettamente ragione di volere la riforma delle pensioni. Ancora ieri una ricerca scientifica, magari generosa, spiegava che i sessantenni di oggi sono i cinquantenni del secolo scorso. In ogni caso quando la vita supera i 90 anni di età e si è pronti a chiudere in casa i ventenni pur di salvaguardare i nostri vecchietti, vedi la pandemia, nemmeno riprendendosi le colonie perdute, lo Stato francese potrebbe finanziare per più di trent’anni la sua popolazione anziana. Altra questione, se il metodo scelto per varare la riforma fosse quello migliore possibile, se il governo, nonostante le prerogative costituzionali lo consentano, dovesse evitare di bypassare il parlamento, o se invece di sfidare il sindacato, Macron avesse fatto meglio a cercare la carta della concertazione. Tutti aspetti controversi che giudicheranno i cittadini francesi.

Non si può escludere che la rigidità mostrata all’ interno, non abbia poi consigliato un’apertura all’esterno, anche solo per dare il senso che il governo della Francia innovatore in materia previdenziale, resta tradizionale nella politica estera. La gauche, Macron proviene pur sempre dal partito socialista, apprezza le alzate di testa, soprattutto se avvengono verso gli Usa. Non potendo aprire alla Russia, quella bombarda da un anno senza pietà un paese terzo riconosciuto dalla Francia, Macron ha così aperto alla Cina. In sostanza Macron ha sì invitato la Cina a mitigare la condotta della Russia, cosa che non interessa poi la dirigenza cinese in nessun modo, anzi, per poi spiegare come la Francia non potrebbe difendere il Taiwan e nemmeno l’Europa sarebbe in grado di farlo. Anche su un argomento specifico come questo, il presidente francese ha ragione. Come può geopoliticamente l’Europa affrontare una crisi nel mar cinese? Nemmeno se la Francia possedesse ancora l’Indocina sarebbe in grado di intervenire senza l’America, l’Inghilterra e la stessa Russia che quando si intervenne per sedare la rivolta dei Boxer ebbe per l’appunto la parte maggiore. Anche in un caso come questo c’era modo e modo di dire a Xi che la Francia e l’Europa non erano un grado di un’azione militare in difesa di Taiwan, ad esempio facendogli presente la disponibilità a sanzionarlo come è stato fatto con Putin. Invece silenzio.

C’è anche un aspetto più complesso, completamente ignorato dal presidente francese. Taiwan a tutti gli effetti non è riconosciuto come uno Stato indipendente nemmeno dalle Nazioni Unite. La Cina è riuscita nel capolavoro diplomatico di far passare la sovranità della vecchia Formosa, come un atto di ribellione intollerabile. Rispetto alle pretese della Russia nei confronti dell’Ucraina la Cina ha davvero la possibilità di accusare Taiwan di “fascismo”, il tradimento nazionalista del Kuo Min Tang, gli eccidi di Shangai compiuti da Chang kai-shek, sono storia, non illazioni. Eppure ciononostante tutto il mondo sa che più di venti milioni di cinesi non vogliono essere comunisti dal 1948. Se l’America rifiutasse la logica di potenza cinese, Taiwan interessa all’America necessariamente ben più dell’Ucraina, cosa farebbe la Francia? Cosa farebbe l’Europa? Ci staccheremmo dalla Nato, promuoveremmo quell’esercito europeo che Macron vagheggiava qualche anno fa per difendersi dalla Russia e dagli Usa, dato che la Cina non ci minaccia?

Quando una grande nazione come la Francia mostra segni di debolezza e di indecisione, lo scenario della politica mondiale ha sempre subito conseguenze molto pesanti. In un caso come questo c’è di che da far tremare i polsi. In linea generale noi abbiamo visto l’Italia aprire ad un bilaterale con la Cina e la conseguenza è stata di fare dell’Italia il primo paese esposto al covid. Dopo la visita di Macron Pechino ha subito accerchiato via mare Taiwan. Se non è un indizio, è un precedente.

Tags: Macron. Pechino
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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