Possiamo sperare che il presidente del consiglio che ha fatto postare le foto del suo pranzo di famiglia a base di granchio blu, “è buonissimo”, abbia invitato a sfruttare un’opportunità, prima di chiedere soldi allo Stato. Anche perché se uno coltiva un prodotto e non è in grado di capire quando questo e da cosa viene messo a rischio, può darsi benissimo che abbia subito una disgrazia, come anche che non sia riuscito a tutelarlo come pure avrebbe dovuto saper fare. Per cui chi garantisce che non vi riesca nemmeno domani? Forse è il momento di pensare ad un’altra attività. Se una specie invasiva ti devasta le tue culture, puoi subito metterti a coltivare la specie invasiva. La specie invasiva ha un valore di mercato inferiore ed è meno richiesta? Devi cambiare le caratteristiche del mercato. Non ci riesci? È la ragione per la quale esiste la concorrenza. A meno che lo Stato subentri nell’allevamento del prodotto messo a rischio, un’ipotesi da tenere presente, ovviamente. Meglio prendere atto del fallimento che perseverare. Poi può darsi benissimo che la situazione di Goro e degli altri insediamenti infestati per cui si richiede lo stato di calamità, si risolva comunque con poco sforzo e rapidamente. Almeno un campanello di allarme bisogna pur farlo suonare. Il welfare non può risolvere tutti i problemi e quando hai un debito pubblico che non è più calcolabile, come quello italiano, è oramai evidente che invece si ritiene il welfare come l’unica risposta possibile. Bene, ce n’è anche un altra, la produttività.
Sabato scorso La Voce Repubblicana ha parodiato un celebre romanzo di Lermontov, “Un eroe del nostro tempo”, con le “eroine del nostro tempo”, perché appunto un piccolo profilo aziendale formato in tutto da 4 donne, prima che il presidente del consiglio mimasse una possibile soluzione, si era dimostrato capace di attivarsi proficuamente. Tutti si lamentavano e queste ragazze erano state capaci di raccogliere e trasferire 18 tonnellate di granchi. Chissà cosa potrebbero fare centinaia di marinai nerboruti se solo volessero. Stiamo parlando di crostacei, mica di un’invasione di astronavi spaziali. Possibile che l’Italia possa entrare in crisi per dei crostacei? Verrebbe più facile da credere che abbiamo irrigidito la pesca con tante di quelle normative per cui non siamo più in grado di mostrare l’arma principale del successo di un’ impresa, la flessibilità. Poi, non vorremmo che a furia di parlare di cambiamenti climatici e di protezione dell’ambiente non si capisca più niente, ed invece di controllare il prolificare di determinate specie lo si incoraggi. Proteggiamo i gabbiani nelle nostre città, senza capire che se si nutrono della spazzatura per strada, smettono di cacciare in mare e quindi un qualche disquilibrio si crea necessariamente, dato che fino al 1975 i gabbiani nidificavano sulle scogliere, non sui tetti delle case. Poi vogliamo tenerci migliaia di gabbiani domestici perché ci fanno compagnia? Benissimo, si possono trovare degli altri predatori da inserire nell’ambiente ghiotti di granchi, ad esempio le lontre di mare e se si può quelle di fiume è anche meglio. Liberatene una famiglia nei pressi delle culture attaccate dai granchi e in due settimane la popolazione invasiva sarà sotto controllo. Probabilmente bisognerà ricatturare le lontre. In altre parole bisogna sapersi adattare in qualche modo, non entrare nell’idea, siamo stati sopraffatti, richiediamo aiuto allo Stato, perché così faremo fallire con noi, anche lo Stato.
C’è un vecchio saggio di Luigi Einaudi che ripercorre la nascita dell’industria automobilistica degli anni venti in Italia, tale per la quale decine di fabbriche chiusero quasi immediatamente. Non rispondevano alla domanda del mercato. Luigi Einaudi sarebbe divenuto presidente della Repubblica. Varrebbe sempre la pena di riprendere in mano i suoi lavori, soprattutto se ti si vuol fare credere che lavorare sia inutile e che un sussidio statale possa risolvere tutti i problemi.
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