Quando Hegel mise mano al saggio la Costituzione della Germania, tra il 1799 e il 1802, non era ancora Hegel. Tutti i suoi capolavori dovevano essere ancora scritti e persino questo primo importante lavoro, più volte rielaborato, alla fine restò inedito. Eppure ha un incipit in cui c’è tutto l’Hegel che conosciamo: «La Germania non è uno Stato», in lui si sente già un “infinito bisogno di unità politica”, come dirà Rosenkranz. E certo, bisognerà attendere almeno il 1871 per il Reich.
È Claudio Cesa, in un volume riproposto al pubblico da Laterza dallo scorso 18 febbraio, a ricordare le pagine intense che Hegel dedica a Machiavelli. Un parallelo tra l’Italia e la Germania, che più tardi sarà anche il motivo di riflessione delle pagine politiche di Giuseppe Mazzini, “entrambe divise in molte unità politico-territoriali, sempre alla mercé di invasori stranieri, ed entrambe incapaci di uscire con le proprie forze dall’abisso di degradazione in cui sono precipitate”. Ed ecco il motivo dell’appassionata lode che Hegel fa a Machiavelli, che ha avuto il grande merito di capire il tormento ma soprattutto la miseria della sua terra e di aver sentito la necessità dell’intervento di un Teseo, capace di ripristinare la democrazia in Occidente, vincendo le “tendenza particolari ed egoistiche, e di unire i disjecta membra in uno Stato”.
Certo, le pagine del Principe sono dure, ma quando hai a che fare con problemi seri, non è che te la cavi con acqua di lavanda. «Una condizione in cui veleno ed assassino sono diventati armi abituali non ammette interventi correttivi troppo delicati. Una vita prossima alla putrefazione può essere riorganizzata solo con la più dura energia».
La questione è quella dell’unità, dello Stato, come del tessuto sociale. «Ogni fazione – aveva affermato Saint-Just – è criminale poiché tende a dividere i cittadini, neutralizza la potenza della Virtù pubblica, è un attentato alla sovranità». E in Italia come in Germania c’era questo “pervertimento profondo” di popoli per troppo tempo rifugiatisi nella singolarità e che hanno impiegato le loro energie a frantumarsi ancora, giungendo alla pazzia: «Pazzia, infatti, non è altro che la totale separazione del singolo dalla sua stirpe». Anche Hegel vede il pericolo più grande nell’anarchia dello Stato e non esita a definire chi la fomenta (come chi fomenterà divisioni, chi darà cioè letture di una ‘classe’ contro tutto il resto della società), i “criminali peggiori” che lo Stato “deve debellare nel modo più sicuro”.
Le tendenze particolaristiche in Germania si sono manifestate con il fiorire delle città libere quando “incominciò a diventare una potenza la mentalità borghese, che si preoccupa solo di una singolarità senza indipendenza, e che non sa guardare l’Intero”. Gli Stati sono sorti senza nessuna forza o coesione al loro interno: erano in realtà organismi privati, nati cioè sulla base di eredità personali, contratti matrimoniali, incroci dinastici e così via. Anticipando una nota argomentazione, che poi approfondirà nei Lineamenti di filosofia del diritto, Hegel dice: «Il diritto pubblico tedesco è propriamente parlando un diritto privato, e i diritti politici sono un possesso garantito dalla legge, una proprietà». Lo Stato tedesco cioè si è disintegrato in tante sfere e diritti privati, che in modo del tutto surrettizio vengono fatti valere come politici. L’unità non è un’opzione, è un dovere.
E l’intrusione del particolarismo nell’universalismo, ieri come oggi, rischia di portare alla disgregazione dell’Intero, dello Stato. «Quando i cittadini si presentano come atomi isolati, e le assemblee elettorali come aggregati disordinati ed organici, il popolo come dissolto in una moltitudine, si mostra il lato della res publica più indegno di lei: quella in contrasto con il suo concetto».
Avere cura dell’Intero non vuol dire sacrificare in nome dello Stato i diritti individuali, la libertà del singolo. Non c’è nessuna imposizione dall’alto di un dover essere o di un dover fare. L’Intero è costruito a partire dalle libertà dei singoli, la libertà è la sua sostanza, ma la libertà di tutti non deve essere alla mercé dell’egoismo dei singoli.
Sono pagine importanti perché ci invitano ad una riflessione sul nostro stare assieme, sul nostro essere comunità consapevole. Riflessione che ci dimostra che quello che abbiamo alle spalle, in realtà ci sta davanti. Se non impariamo dal passato, il passato saprà sempre riproporsi, e sarà sempre più bravo di noi.