Fede avvenire di Giuseppe Mazzini è il terzo libro pubblicato da Bonanno editore (dopo La questione economica e il Partito Repubblicano di Arcangelo Ghisleri e Mazzini. Filosofia sociale di Giovanni Bovio) per invitare al recupero delle origini del pensiero repubblicano. Alla presentazione del volume, curato da Giovanni Balducci e introdotto da Mauro Cascio, la Fgr ha dedicato una serie di incontri pubblici a Napoli, Forlì, Rovigo e Cesena. A Napoli è intervenuto tra gli altri Antonio Piscitelli. Riportiamo qui il suo intervento.
Scorrendo le pagine di Fede e Avvenire di Mazzini il pensiero va a Mircea Eliade, probabilmente il più importante storico delle religioni del Novecento. E non è un volo pindarico. Eliade sostenne nella sua monumentale opera di ricostruzione delle testimonianze del Sacro che la religiosità non è un fenomeno storico archiviabile nel passato, ma è una “condizione strutturale della esistenza umana” e d’altra parte che la “creatività dello spirito” è inesauribile. Ecco, per chi ha letto Mazzini questi non sono concetti nuovi. Appunto il profeta del Risorgimento considerava la Religione una dimensione eterna dell’essere umano, ma nello stesso tempo una realtà immersa nel divenire storico, dunque soggetta a trasformazione. L’abbinamento tra “fede” e “avvenire” indica appunto la proiezione verso il futuro, la necessità di prepararsi o meglio ancora preparare tempi nuovi.
Se queste sono le premesse teoriche allora suscita piacere che il messaggio di Mazzini oggi sia raccolto da giovani come quelli che hanno compilato l’antologia di scritti che precede la nuova pubblicazione di Fede e Avvenire a cura di Giovanni Balducci per le edizioni Bonanno. “Lo Spirito è eterno, le forme religiose variano” dicevamo. Ogni epoca dunque cerca un approccio all’Essere che non può essere la rigida prosecuzione di un vecchio modo di sentire, inevitabilmente legato ad uno stato di coscienza che è andato incontro a cambiamenti. Per Mazzini l’uomo del nostro tempo può concepire Dio come “Pensiero Vivente”, come mente razionale ordinatrice del tutto – se si vuole mantenere un approccio teista – o altrimenti come l’ordine razionale delle cose, che rende possibile cogliere leggi di natura stabili. La controparte di questa manifestazione del Divino è l’Umanità: vale a dire che la voce della ispirazione divina, il Soffio dello Spirito, si avverte con forza quando l’umanità intera procede lungo un progresso che non privilegia una parte rispetto all’altra, ma genera un vantaggio che è autenticamente universale.
Il sentimento religioso conosce epoche diverse. È un pensiero che farebbe inorridire i tradizionalisti, che però a loro volta accettano pacificamente la distinzione tra un Antico Testamento (rigorosamente monoteista, con sacrifici animali e tabù alimentari) e un Nuovo Testamento (con un Dio incarnato sulla terra e la interiorizzazione dei comandamenti)… Ma in Italia la scansione di diverse epoche dello spirito fu proposta da una personalità religiosa in odore di eterodossia che Mazzini aveva sicuramente presente: l’abate Gioacchino da Fiore “di spirito profetico dotato” (come ricordava Dante) che dispiegava la Triade suprema lungo il corso della storia e individuava una Età del Padre, una Età del Figlio e una a venire “dello Spirito”. Per Mazzini l’epoca del “Figlio”, ovvero della cristianità storica, è quella che va dall’inizio della predicazione di Cristo fino alla Rivoluzione Francese e alla dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino. In un secolo in cui cristianesimo e spirito rivoluzionario francese venivano considerati antitetici, Mazzini coglie un nesso in profondità, che è quello dello sviluppo del valore dell’individuo. Il cristianesimo – come regione universale che fa appello alla “conversione” ovvero alla scelta di coscienza che supera le appartenenze del “ghenos” – valorizza l’individuo in una forma così radicale che neppure secoli di struttura ecclesiastica e dogmatica possono cancellare. Ed è proprio questo valore dell’individuo che emerge nelle rivoluzioni che sono all’origine dell’età contemporanea.
Quale traguardo è possibile dopo la acquisizione del principio di diritti umani irrinunciabili? Il traguardo di una nuova società fondata sul senso del Dovere. Qui Mazzini è davvero profeta, perché intuisce che la esasperazione oltre un giusto limite della ideologia dei diritti introduce un elemento di disgregazione nella società. Un mondo formato da individui parossisticamente tesi alla rivendicazione dei propri “crediti” nei confronti del resto del mondo è destinata a sbriciolarsi come sabbia e a dissolversi come polvere. Mazzini intuisce con uno sguardo decisamente veggente tanto la deriva autoritaria del comunismo quanto l’entropia della ideologia dei diritti.
La sua non è ovviamente una critica reazionaria: la pienezza dei diritti individuali deve essere preservata e chi ha parlato di un Mazzini illiberale dovrebbe ricordare che il legislatore della Costituzione della Repubblica Romana del 1849 contemplava nella sua Carta fondamentale tutti i diritti fondamentali di una liberal-democrazia. Ma nello stesso tempo alla pienezza dei diritti individuali deve associarsi una consapevolezza profonda dei doveri. Attorno al concetto di “dovere” nell’era nuova, che Mazzini chiama “sociale” o associativa, deve ricomporsi il senso della comunità, non per effetto di una imposizione coercitiva, ma come frutto di uno sviluppo sempre più ampio della istruzione e della educazione popolare. Non a caso sarà il mazziniano De Pretis a dare con la sinistra storica al governo un fondamentale impulso alla scuola pubblica, non a caso la figura di Mazzini ritorna nel libro Cuore di De Amicis, che in forma didascalica ma non patetica, cercherà di elaborare una pedagogia nazionale e una religione civile del lavoro e del rispetto sociale.
Probabilmente proprio il concetto di dovere – congiunto alle aspirazioni alla libertà dei popoli – affascinerà personalità come il mahatma Gandhi, che nel 1919 fonda la “Giovane India”. Il dovere mazziniano evoca il principio basilare induista del “Dharma” la missione fondamentale che ogni individuo incarnandosi in una delle tante esistenze porta da un mondo superiore come senso profondo di quella incarnazione. E va pur detto che Mazzini era seriamente convinto del principio religioso della reincarnazione. D’altra parte, venendo da una origine familiare per metà protestante, è facile riconoscere nel concetto del Dovere l’influsso della interpretazione che Lutero dà del concetto di “Vocazione” (Beruf): non può ristretto al “farsi prete”, ma esteso a ogni forma di lavoro nel quale il cristiano, partecipe del sacerdozio universale in virtù del battesimo, si realizza.
Riflettendo su queste profondità della accezione mazziniana di dovere si potrebbe anche dissolvere quel senso di eccessiva seriosità se non addirittura di cupezza che spesso avvolge l’immagine di Mazzini: se il dovere è la missione fondamentale della vita di un singolo (come della vita delle nazioni) allora esso va a coincidere con l’inclinazione, con il talento personale: quando un individuo coglie la sua vocazione profonda, quella che dà senso a una esistenza facendo coincidere realizzazione individuale e contributo alla società, allora addirittura il dovere viene a coincidere con un piacere profondo!