Le forze politiche che si preparano al voto non sembrano aver ancora capito come i problemi dell’Italia siano tutti davanti a loro e non alle spalle. E soprattutto non sembrano aver compreso che per affrontare e risolvere questi problemi buona parte di loro si era rivolta a Mario Draghi, di cui c’è più bisogno domani di quanto ce ne fosse stato ieri. Ieri c’era infatti solo da affrontare una pandemia e dei progetti per ripartire, domani con il ritorno possibile della pandemia, per quanto contenuto da una imponente campagna vaccinale, la migliore al mondo con quella inglese, avremo la crisi energetica, quella economica, i piani di resilienza vanno ultimati, e la guerra.
Pensare di poter pensionare Draghi in simili frangenti o che Draghi sia stanco e voglia farsi da parte, significa privarsi del miglior punto di forza di cui l’Italia dispone e disperdere quanto abbiamo appena iniziato a fare come nazione per risalire la china in cui eravamo precipitati con i due precedenti governi Conte.
Per questa ragione, il centrodestra, è inutile che si affanni, ha già perso le elezioni. Che razza di soluzione sarebbe infatti quella di fare scegliere il presidente del Consiglio al partito vincente, se non quella di dichiarare che non c’è un leader comune della coalizione e nemmeno una convinzione su chi si dovrebbe proporre. Cioè, questi signori hanno detto che non esiste più il centrodestra come pure sarebbe dovuto essere chiaro dal momento nel quale uno dei partiti che lo compongono ha passato quattro anni all’opposizione, un altro ha partecipato ad un governo sui tre che si sono formati, ed il terzo persino a due su tre.
Senza concordare una leadership riconosciuta, come pure il centrodestra aveva sempre fatto, è evidente che dopo il voto ognuno andrà per suo conto esattamente e con più determinazione di quanto pure è avvenuto in questa legislatura. Il partito democratico, in compenso, non vincerà lo stesso se non comprende rapidamente che non si tratta di riassemblare, fallito fortunatamente il cosiddetto “campo largo”, un nuovo Ulivo, di cui salvo l’onorevole Bersani, nessuno sente il bisogno. Occorre invece che l’intera area che ha sostenuto Draghi in questi mesi si rafforzi nel suo convincimento di mantenere Draghi alla guida del paese, altro che proporre qualcuno al suo posto. Le capitali occidentali non capirebbero mai la ragione per cui il nostro paese si fosse liberato di questa personalità così rapidamente. In questo caso il giudizio sarebbe già scritto da Washington a Berlino, passando per Parigi. L’Italia è sempre la stessa, appena ha un’occasione ecco che la spreca. Un destino più che una sentenza.
Chi sostiene un progetto liberal democratico, ovvero un progetto di cambiamento profondo della società italiana e soprattutto della sua politica, non può ignorare questa situazione e chiedere il voto senza volerne rispondere. Un progetto liberal democratico richiede un’agenda ed un’azione concreta che non può prescindere dalla fase avviata e che ha posto Mario Draghi al suo centro. Chi poi è anche repubblicano dovrebbe ancora di più apprezzare lo spirito repubblicano che Draghi ha portato nel governo dopo molti anni. C’è una sola soluzione percorribile, alternativa al governo Draghi, un altro governo Draghi.