La domanda se la controffensiva ucraina sia iniziata o meno, o quando essa inizi, è puramente propagandistica. L’Ucraina non è in grado di fare una controffensiva a meno che i russi non siano in rotta. I russi hanno compiuto un disastro epocale nella loro invasione, hanno perso quasi tutte le posizioni conquistate, ma tengono nelle aree del Donbass separatiste in cui si combatte almeno dal 2014 a bassa e media intensità. L’allagamento causato dall’esplosione della diga sul Dnepr blocca ogni possibile avanzata su Mariupol e consente alle truppe russe di concentrarsi nella difesa dell’oblast di Bachmut dove hanno avuto più perdite che in tutto il resto della guerra e potrebbero ancora essere travolti. È quindi possibile che l’esercito ucraino guadagni qualche centinaio di metri, ma non è attrezzato, né preparato, né soprattutto numericamente in grado di fare un attacco di un qualche successo su larga scala. La cosa più plausibile è che tentandolo dissipi il vantaggio in perdite militari ottenuto finora e rinvigorisca uno stremato stato d’animo bellico russo. Se i comandi militari ucraini hanno qualche capacità staranno fermi. Qualche punzecchiatura al nemico per tastarne le capacità. Il punto è che se anche i russi dovessero lasciare tutto il Donbass, incluse le repubbliche separatiste e la Crimea, resterebbe la flotta nel mar Nero a colpire obiettivi ucraini, le zone di confine armate di missili e droni e infine, si è aperta la partita in Bielorussia. Lukashenko meglio di chiunque e fin dal primo momento ha compreso il fallimento dell’offensiva in Ucraina. Ora ridotto come è ridotto, deve ospitare missili tattici russi sul suo territorio. Minsk è un primo bersaglio. Mosca si è tutelata buttando avanti Lukashenko. Per cui un eventuale stallo non significherà un armistizio, la soluzione coreana è da escludersi fin da ora. Alla Russia non serve a niente tenersi Mariupol, piuttosto che la Crimea. La Russia può restare in piedi solo continuando a vivere di rapina a danno dei paesi che saccheggia dal secolo scorso. Non è cambiato niente in Russia, anzi dalla caduta dello Zar è peggiorato.
Quando Krusciov seppe che la sua flotta in acque internazionali, i missili a Cuba non erano ancora operativi per essere lanciati, aveva tre obiettivi statunitensi nel mirino contro i settanta sovietici della balistica americana, fece marcia indietro con la coda fra le gambe. Si sperava che lo stesso realismo sovietico fosse rimasto anche a Putin che era pur sempre un agente Kgb. Abbiamo invece scoperto una differenza profonda fra l’Urss e la Russia, la prima esibiva un’idea universalista legata al socialismo, Putin rappresenta solo una cricca legata a se stessa. Un fallimento di Krusciov lo avrebbe condannato rispetto al partito, il fallimento di Putin condannerebbe solo i suoi oligarchi. Può darsi che gli oligarchi riescano anche a scaricare Putin, solo che per il momento sono loro che ci lasciano la pelle. Putin, incredibile, è più saldo su ponte di comando di quanto lo fosse Stalin che prese legnate in Finlandiia si ritirò dopo un solo mese, scaricando i suoi generali.
Chi ha conosciuto in Occidente meglio di tutti Putin, sentendolo più o meno ogni settimana dal primo al 22 febbraio dell’anno scorso, giorno in cui si è recato a Mosca per scongiurarlo di evitare questa follia, è Mario Draghi. Draghi da presidente del Consiglio è stato risoluto nel prendere la Russia per le corna e portare i grandi dell’Unione europea, che non ne avevano nessuna voglia, su una posizione di intransigenza. Questa settimana parlando al Mit di Boston Draghi ha cambiato la narrativa del conflitto. Non si tratta più di ottenere un ritiro russo per avere la pace, versione ufficiale delle potenze occidentali, America in testa, per cui con il ritiro russo si fa la pace subito. Per avere la pace, invece, bisogna “garantire la sconfitta della Russia”, questo ha detto Draghi. È questa la stessa visione dei moldavi, dei cechi, degli slovacchi, dei polacchi dei lituani, degli estoni, dei lettoni, tutti popoli che conoscono i russi. Ovvero conoscono un regime che può perdurare a vivere solo fondandosi sull’aggressione militare e le nostre paure.