L’inviato speciale di Donald Trump, il generale a riposo Keith Kellog, ha smentito una sua intervista al Times nella quale si leggeva l’ipotesi di una spartizione dell’Ucraina sul modello di Berlino nel 1945. Una correzione obbligata. Sotto il profilo geografico, Berlino è pur sempre una città, per quanto importante, quando l’Ucraina è una nazione. Mentre, sotto l’aspetto politico militare, la Germania nazista era stata sconfitta da un’alleanza che comprendeva anglo americani e russi dopo 4 anni. Magari fosse questa la condizione di Putin. L’Ucraina è infatti stata sostenuta dagli anglo americani contro un’invasione russa respinta ben oltre la capitale e di anni ne sono già passati tre.
Se Kellog voleva tracciare un qualche paragone storico, ne aveva, per quanto improprio, solo uno plausibile, quello della guerra di Corea. La guerra di Corea non è ancora finita, vige un’armistizio che si potrebbe rompere in qualsiasi momento, soprattutto ora che i nord coreani combattono in Ucraina, cosa che appare anche abbastanza paradossale. Una volta erano i russi che aiutavano i paesi comunisti dell’Asia in guerra, non il contrario. La partecipazione di forze nord coreane, dopo l’arruolamento di nepalesi, per non parlare di una non precisata presenza cinese, è un’altra dimostrazione del fallimento di Mosca. Mosca aveva avuto il pudore di non dichiarare guerra ad uno Stato che nemmeno riconosce. Putin considera l’Ucraina come una regione subordinata, e pure eccolo costretto ad arruolare cittadini delle nazionalità più disparate per conquistarla senza riuscirvi. Dovrebbe contare su una resistenza ucraina, i famosi russofoni. dove caspita sono?
In queste settimane in cui sono ripresi i contatti diplomatici con gli Stati Uniti, la Russia ha intensificato le operazioni militari e ammassa truppe per una nuova offensiva ad est, oltre alle minacce rivolte ad Odessa. Per il resto i risultati languono. Cacciati gli ucraini quasi completamente dal Kursk, quelli sono entrati nel Belgorod a dimostrazione che la loro ritirata era funzionale ai negoziati. Kellog si è sentito in dovere nei confronti dell’Ucraina. Non intendeva riferirsi ad una spartizione del paese, quanto indicare delle zone di responsabilità di una futura forza alleata. Senza placare gli ucraini, ha irritato i russi. Un piano di pace che prevede truppe occidentali, francesi ed inglesi, anche se separate da uno zona smilitarizzata, il modello coreano, appunto, è la soluzione per cui i russi pretestuosamente hanno fatto la guerra. Se Mosca non vuole l’Ucraina nella Nato, a maggior ragione, non vuole truppe Nato in Ucraina.
Le contorsioni verbali di Kellog confermano che la nuova amministrazione americana si sia illusa sulle possibilità della pace. Il Cremlino non ha combattuto tre anni per vedersi riconoscere quello che considera suo dal 2014. E rispetto al 2014 ha conquistato principalmente un mucchio di rovine ad un costo sproporzionato di uomini e mezzi. Putin dovesse accettare il congelamento della situazione sul campo, quale formula si voglia usare non ha importanza, mostrerebbe la clamorosa sconfitta subita. A pasqua vuole una nuova offensiva, se ci riesce, non il cessate il fuoco, per occupare almeno interamente i territori rivendicati. Finora manco questo ha saputo fare.
I maldestri inviati di Trump si dovranno pur rendere conto della situazione. Il presidente statunitense non può continuare a ripetere, che con lui la guerra non sarebbe mai iniziata. Sembra un pugile suonato. La Casa Bianca deve illustrare la sua strategia per finirla la guerra. O manda al tappeto Zelensky, o manda al tappeto Putin. Basta fare una scelta.
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