Giovanni Spadolini da presidente del Consiglio teneva la luce del suo ufficio a Palazzo Chigi accesa tutta la notte, allora la bolletta costava poco, per far sapere agli italiani che il capo del governo era al lavoro. Magari non tutte le notti e non tutta la notte Spadolini lo era davvero, ma questo non aveva importanza. Quello che contava era l’esempio di dedizione all’interesse comune che il presidente del Consiglio voleva trasmettere alla cittadinanza. Sotto questo profilo Spadolini fu formidabile, perché poche cose lo interessavano fuori dalle attività lavorative a cui era chiamato. Per riposarsi e distrarsi dalla politica che lo assorbiva anche 18 ore al giorno, correggeva le bozze de La Voce Repubblicana, e appena aveva tempo scriveva un libro attingendo alle sue conoscenze di storico che erano piuttosto rilevanti. Sul treno Roma Milano, Spadolini dettoti buon giorno e fatto qualche convenevole, si immergeva in un faldone estratto dalla sua borsa. Il treno si fermava a Firenze, dove un assistente gli cambiava la borsa con un’ altra, lui faceva ancora qualche convenevole e poi estraeva un nuovo faldone da correggere fino a Milano. Questo era Spadolini.
Ora pretendere che ogni uomo politico fosse come Spadolini, sarebbe un po’ come pretendere che ogni membro della convenzione in Francia fosse come Robespierre che la virtù condusse alla ghigliottina. Il problema è che non si può nemmeno essere un presidente del Consiglio di cui i giornali si occupano e ricamano sulle sue frequentazione femminili. Non per altro, ma perché potrebbe sembrare la vita di una pop star, interessato alle donne ed al canto invece che all’attività pubblica. Il caso Berlusconi è tutto qui. Gli italiani hanno potuto contare su un uomo che mettesse tutte le sue doti al servizio dello Stato, o invece si sono trovati in mano a qualcuno per il quale il servizio allo Stato era un appendice di attività personali più importanti? Perché già si diceva che Berlusconi era sceso in campo per curare i suoi affari, cosa discutibile ma comunque lecita se poi nessuno vuole una legge sul conflitto di interessi e poi ci si mettono di mezzo anche le donnine. Naturalmente si è anche liberi di ritenere Berlusconi un titano, capace di farsi in tre per lo Stato, il Milan e le ragazze.
In ogni caso l’opinione pubblica avrebbe avuto la possibilità di sbizzarrirsi con giornali che riportavano le sue performance di inflessibile uomo di governo, quelli che ne seguivano le vicende rosa e le cene eleganti, e infine le gazzette che esaltavano i successi calcistici. Gli italiani avrebbero poi giudicato il personaggio come preferivano, perché per l’appunto coma capo partito, nemmeno Mussolini fu alla guida del fascismo tanto tempo quanto lui lo è stato alla guida di Forza Italia, Berlusconi si presentava all’elettorato più o meno ogni anno.
Quello che invece davvero non si è mai capito è il perché in tutto questo le procure abbiano ritenuto di mettere il becco, non quando Berlusconi a capo delle sue aziende poteva in effetti aver commesso degli illeciti amministrativi o finanziari, ma quando lui le aziende le ha lasciate per dedicarsi alla vita politica, dove gli sono arrivate accuse di tutti i generi. Per lo meno le magistrature mostravano un certo ritardo. Peggio è loro andata quando a Milano si sono messi in testa di fare una indagine sui rapporti femminili di Berlusconi perché se un uomo politico deve preoccuparsi di non apparire un dissoluto, una magistratura di una Repubblica democratica deve distanziarsi da quella della santa inquisizione. Ed anche questo non è un rilievo moralistico, ma semplicemente pratico. Prima di tutto perché le accuse contro Berlusconi si sono rivelate un pugno di mosche, poi perchè mentre i magistrati torchiavano le veline e le accompagnatici i boss del crimine se ne andavano tranquillamente a spasso.
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