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Un facile confronto fra i tre governi della legislatura

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
28 Agosto 2022
in L'editoriale
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Il principale effetto dei due governi Conte si spiega rapidamente. Grazie al loro operato l’unico partito rimasto fermamente all’apposizione era passato già nell’aprile del 2020 dal 4 per cento che aveva alle politiche, al 16, superando il movimento 5 stelle. Una tale crescita esponenziale non si era mai vista nella storia della vita della Repubblica ed è continuata per tutto quell’anno, tanto che quando il secondo governo Conte è caduto, Fratelli d’Italia era dato al venti per cento e il partito del presidente del Consiglio al dieci.

Perché la democrazia repubblicana sia funzionale, non basta l’assicurazione formale del rispetto della Costituzione, occorre anche una qualche corrispondenza con il paese politico reale. In questo i democristiani nella loro gestione del potere erano bravissimi. Perdevano uno zero virgola percentuale e cambiavano la corrente che esprimeva il presidente del Consiglio. Perdevano un punto, ed ecco il governo Spadolini. Ne perdevano due? Governo Craxi.

Conte aveva perso alle europee 15 punti percentuali è stava ancora lì a spiegare agli italiani come dovevano camminare per strada ed in quanti sedersi al ristorante. Continuavamo così e la Meloni sarebbe arrivata al 70 per cento, perché il torto di Salvini era non di aver fatto cadere il Conte uno, ma di averci governato insieme a uno come Conte e il torto di Berlusconi, di non aver voluto andare a votare alla prima crisi di governo e aver consentito che Conte restasse ancora in sella.

Quando è che si è riusciti ad arginare l’irresistibile ascesa di Fratelli d’Italia? Quando il Parlamento ha  ripreso in mano la situazione e consentito la formazione del governo Draghi. Il consenso a Fratelli d’Italia si è bloccato ed è cresciuto l’apprezzamento per il Pd perno del nuovo governo. Ovviamente non poteva recuperare voti il movimento 5 stelle, il cui credito era stato interamente dissipato dai due governi Conte, mentre teneva tutto sommato la Lega e persino Forza Italia, e ce ne vuole, recuperava qualcosa. Appena è stato fatto cadere il governo Draghi, Fratelli d’Italia ha ripreso la sua corsa e tutti gli altri hanno ripreso a retrocedere. La controprova di un teorema matematico perfetto.

Oggi, Aldo Cazzullo su il Corriere della Sera rispondendo ad un lettore si dice convinto che il voto alla Meloni sarà ancora più netto di quanto dicono i sondaggi. Un paese di destra come è il nostro, vi si riconosce pienamente. Più o meno è la stessa valutazione che facciamo dal marzo del 2020, quando abbiamo proposto un governo di solidarietà nazionale, per evitare, in primis un governo di minoranza messo a gestire l’emergenza. Poi per l’evidente incapacità di Conte di affrontare qualsiasi altro problema. Il perno di questa proposta avanzata dal segretario del Pri in un articolo a la Stampa, era Draghi, ovvero un’eccellenza tale da ottenere il riconoscimento di tutte le democrazie occidentali. Caduto Draghi, occorreva che le forze che gli erano rimaste leali si coalizzassero nel suo nome per rilanciare quell’esperienza.

Non si è capito allora perché lo sbandamento del Pd per oppositori di Draghi come Fratoianni e Bonelli, a cui è stato dato un ruolo autonomo che ad esempio non veniva riconosciuto invece al Psi, capace di sostenere Draghi con numeri maggiori di quanti ne abbia Fratoianni per contestarlo.

L’unica spiegazione razionale possibile è che al Pd sanno perfettamente che la battaglia sull’uninominale maggioritario è persa, tale è il gap che divide l’eventuale “campo largo” dalla sola combinazione di centro destra. Salvo i collegi nelle zone di insediamento tradizionale, dove il Pd vince da solo, non c’è partita. Allora vale la pena di costruire un blocco di sinistra, uno indipendente liberale, e lasciare Conte al suo destino, perché sulla quota proporzionale tutto quanto e persino la lista di Mastella, limita il successo di Fratelli d’Italia e lo comprime in termini di seggi. È l’unica possibilità di collocare Draghi alla guida del paese, riscostruendo una situazione non dissimile da quella dal voto del 2018.

A maggior ragione, la scelta politica compiuta dal Pri è funzionale a questo disegno e bisogna che venga perseguita nell’interesse del Paese, non del partito. Se prima non si salvaguarda l’interesse del Paese, ed abbiamo visto come è stato facile comprometterlo in questa legislatura, escludete che vi sia una sola speranza di rilanciare il partito.

Tags: CazzulloPd
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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