Per la verità non è poi così importante stabilire se Paolo Meli abbia ragione o torto nel ritenere il partito democratico ancora sotto l’influenza della rivoluzione di ottobre e se comandi davvero un vetero democristiano come Enrico Letta o una qualche oscura conclave bolscevica annidata nelle stanze del Nazareno. Invece, se qualcuno si aspettava che Mieli si unisse al coro sul pericolo rappresentato dalla destra, l’ex direttore del Corriere della Sera ha denunziato la sinistra. A il Riformista, dove sono molto attenti a queste cose, hanno reagito con stizza. Già considerano Galli della Loggia saltato sul carro dell’onorevole Meloni, ed adesso questa uscita di Mieli, ha fatto venire loro i brividi. Sta a vedere che la grande borghesia italiana si prepara a cedere, cento anni dopo la marcia su Roma. Anche qui, se possiamo dare un consiglio, eviteremmo di scorgere spettri dovunque.
I conti con la storia sono difficili da fare sia per la destra nazionalista, che per la sinistra riformista. Ad esempio, per restare al ragionamento di Mieli, perché Letta ha voluto salvaguardare una formazione contraria alla Nato come quella di Fratoianni, rendendo impossibile una coerenza politica del suo schieramento? Poteva candidare Fratoianni in un qualche collegio senza tanto clamore come fa con gli esponenti del partito socialista di cui nessuno si accorge che esistano e pure i socialisti sono stati convinti e allineati con tutte le scelte fatte dal Pd in questa legislatura. Può essere che Fratoianni e Bonelli siano il riflesso della vecchia coda bolscevica che si agita ancora? È una domanda che investirebbe persino l’eredità del Pci di Berlinguer che nel 1975 considerò esaurita la fase propulsiva dell’ottobre e la Nato un rifugio più sicuro per la democrazia italiana.
Allora potrebbe essere che Mieli abbia voluto fare uno sgambetto al povero Enrico Letta nel momento più difficile quando i sondaggi lo vedono arrancare. Altrimenti ha voluto dire una cosa diversa, ovvero che sì la Meloni ha la sua eredità scomoda, ma il Pd contenga la sua puzza al naso che non respira proprio aria pulita. Perché, certo, se l’onorevole Meloni otterrà il successo che si prefigura al suo partito e alla sua coalizione avrà i numeri per essere autosufficiente e formerà un suo governo, questo se fossimo nel 2001. Ma è più probabile che con una legge elettorale come l’attuale ci si ritrovi in una situazione parlamentare sul tipo di quella del 2018, con il partito della Meloni al posto di quello di Conte, che ha vinto, ma non gli bastano i parlamentari eletti per formare una maggioranza. In quel caso il Pd dovrebbe saper dimostrare la sua proverbiale duttilità, altro che la sua eredità rivoluzionaria. In fondo sono già a tutti evidenti le ragioni della solidarietà nazionale, l’appello rivolto a Draghi in questi giorni ha del clamoroso. Si tratterebbe solo di sostituire Meloni con Conte, in fondo niente di così tragico, visto che Meloni ha votato senza fiatare tutte le misure del governo Draghi sull’Ucraina e neppure oggi chiede uno scostamento di bilancio tanto inviso al presidente del Consiglio ancora in carica e invocato da tutti.
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