Bisogna pur riconoscere che quando il partito socialista apriva le crisi di governo seguiva una procedura cristallina. Il segretario del partito annunciava che i ministri si erano ritirati dall’esecutivo e che da quel momento i parlamentari, avrebbero sfiduciato il presidente del consiglio. Non accadeva che i ministri dichiaravano la loro fiducia al governo e i capogruppo, che i parlamentari non avrebbero partecipato al voto, come pure era avvenuto in Senato il giorno prima dell’apertura del congresso nazionale del partito socialista all’Auditorium di viale Manzoni a Roma.
Il segretario del Psi Enzo Maraio, è forse troppo giovane per ricordarsi del congresso socialista di Bari nel 1991, allora aveva solo 13 anni, ma proprio la condotta avviata in quella assise lo dovrebbe confortare rispetto all’oggi. De Mita non aveva nessuna possibilità di riformare un nuovo governo, Draghi invece ancora non è stato sfiduciato, è lui che si è dimesso, il parlamento gli ha votato la fiducia eccome.
Mentre Maraio svolgeva la sua fiera relazione congressuale, Conte si pavoneggiava davanti alle telecamere dicendo di avere finalmente lui in mano il boccino della crisi. Come al solito l’avvocato foggiano non sa di cosa parla, il pallino della crisi è nelle mani di Draghi che se i ministri cinque stelle non si dimettono non ha nemmeno bisogno di procedere ad un rimpasto, si presenta in aula e con una fiducia numericamente sufficiente, va avanti. Dagli interventi del primo giorno del congresso del psi questa eventualità non viene considerata perché coloro che della compagine ministeriale sono saliti sul palco, Speranza, il sottosegretario Tabacci, hanno raccontato l’uomo provato e deciso a ritirarsi. Ma bisogna considerare un fattore diverso, ovvero il ruolo di moral suasion del presidente della Repubblica. Mattarella non ha nessuna intenzione di far precipitare la legislatura, così come non ha nessuna intenzione di far varare un nuovo governo. Sono troppi gli appuntamenti che riguardano l’Italia nei prossimi mesi, dal Pnrr, al gas, alle bollette, alla inflazione alla guerra, e ancora non siamo usciti dalla pandemia. Non c’è molto tempo da perdere in giochi di palazzo. L’invito di Maraio e di tutto il Psi è stato perché Draghi non mollasse. Una gioia per il segretario del partito repubblicano Corrado De Rinaldis Saponaro intervenuto al congresso socialista a guida di una delegazione della direzione nazionale, Michele Polini e Riccardo Bruno.
Saponaro ha ricordato come i rapporti conflittuali ottocenteschi fra repubblicani e socialisti mutarono con Turati davanti al fascismo. Pacciardi e Nenni si ritrovarono a combattere dalla stessa parte della barricata in Spagna e poi di nuovo nel referendum per la Repubblica e anche se senza Pacciardi fu il partito repubblicano di La Malfa ad aprire al partito socialista ed al centrosinistra nei primi anni sessanta del secolo scorso. Da allora una collaborazione travagliata che si spense definitivamente proprio nel 1991 quando il Pri lasciò il governo Andreotti. A trent’anni di distanza da quella data Psi e Pri si sono ritrovati, come si capisce dai sentimenti per il governo Draghi, ma anche a sostegno dell’Ucraina, il che fa sperare si possa scrivere ancora insieme un’altra pagina nobile della storia patria. Per lo meno è quello che Saponaro auspica se i socialisti, insieme ai diritti coniugheranno anche i doveri.
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