In qualità di viceministro dell’Ambiente, l’onorevole Francesco Nucara predispose un progetto operativo di difesa del suolo, perché il materiale a disposizione era infinito ma completamente sparso in decine di direzioni. Il ministero dell’Ambiente fino a quel momento non riteneva ve ne fosse la necessità. Tale era il sovrapporsi delle competenze regionali che era inutile pensare ad un qualche intervento unitario nazionale. L’idea di Nucara fu quella di costituire il Podis – progetto operativo difesa suolo -, come una unità di supporto alle necessità degli interventi regionali. Si trattava di evidenziare da parte del ministero le criticità, reperire i fondi e formare il personale necessario ai lavori. Per quanto possa apparire incredibile, i fondi erano il problema minore, in quanto per gran parte stanziati. Quello che davvero mancava erano i progetti per sbloccarli. In parole semplici di tutta la complessità che occorreva affrontare per mettere in sicurezza il territorio italiano, la principale era l’ingegneristica. E pure abbiamo conosciuto dei giovani ingegneri brillanti e preparati che infatti sono andati a lavorare nei paesi arabi negli anni ’80 del secolo scorso.
Nonostante tante difficoltà, il progetto operativo difesa suolo si mise in moto e anche se Nucara era principalmente preoccupato dell’erosione costiera, si iniziò a mappare tutte le possibili erosioni del territorio, soprattutto argini e fiumi, a contattare le Regioni interessate e ad organizzare la formazione. Un aspetto di cui ci siamo occupati giornalisticamente, era la completa indifferenza dell’opinione pubblica a riguardo. Se il vice ministro Nucara dichiarava qualsiasi cosa sull’attività del governo o del parlamento, subito finiva su agenzie e giornali. Se invece si parlava della difesa del suolo, occorreva affittare spazi pubblicitari. Era il 2004. Si votò nel 2005, cambiò il governo ed il ministro successivo, semplicemente, azzerò il progetto operativo difesa suolo, smantellandone struttura e intenzioni. Con cosa lo ha sostituito? Non si sa. A vedere i risultati di questi giorni verrebbe da credere che la situazione sia rimasta quella che si era trovata nel 2003.
È davvero formidabile da ascoltare il dibattito sollevatosi su questa catastrofe che ha colpito l’Emilia Romagna e che potrebbe investire qualsiasi altra regione d’Italia già dal prossimo autunno. Non si ha quasi nessuna idea di cosa sia successo e nessuna idea di cosa fare. Il bello è che c’è persino chi già si preoccupa della imminente siccità, perché come sappiamo il clima si starebbe surriscaldando. Un professorone ci ha spiegato in diretta televisiva che gli unici interventi organici risalgono al periodo fra le due guerre, in pratica ai piani di Mussolini, dalla bonifica pontina, alla forestazione dell’Appennino, che pure serviva ad aumentare il freddo in Italia per rinvigorire lo spirito bellico della popolazione. Tant’è. Almeno speriamo ci si sia accorti che sì, una revisione costituzionale servirebbe, utile a concentrare i poteri nelle mani di un centro unico di progetto ed intervento nazionale, come era prima della riforma del titolo V. È questa la prima responsabile del disastro. Insieme, ad un sistema maggioritario che porta al governo una classe politica convinta di dover azzerare tutto quanto fatto da quella precedente e ricominciare daccapo, o proprio non farne niente.
All’Italia servono progetti per mettere in sicurezza intere aree geografiche e sbloccare fondi che sono fermi dal secolo scorso e necessariamente una legislazione non controvertibile, e quindi efficace e rapida, il contrario dell’ autonomia regionale.