Giovanni Spadolini nel cinquantesimo anniversario del Manifesto di Ventotene si recò sull’isola per ricordare quello che definiva “un audace e lungimirante scritto”. Anno di grazia 1991, era appena caduta l’Unione sovietica ed il socialismo reale. Il Manifesto di Spinelli, Rossi e Colorni appariva come uno dei testi fondamentali della costruzione europea. Tanta lungimiranza del testo si sarebbe poi esaurita davanti ad un presidente del consiglio eletto in un partito che inalbera il vessillo dei reduci della Repubblica sociale, e questo, all’epoca, il buon Spadolini, mai lo avrebbe immaginato.
Anche se la storia presenta ricorsi inattesi e sgradevoli, è stato un errore per l’onorevole Meloni, rievocare comunque Ventotene. I suoi sottopancia più eruditi, si sono messi a dare lezioni sull’odio che divideva i confinati. Ernesto Rossi non si sedeva a tavola con i comunisti, venivano alle mani. Esatto. Il Pri a Ventotene aveva Giorgio Braccialarghe, frequentatore di tutte le galere europee. Lasciata la Spagna con Pacciardi detestava i comunisti quanto i fascisti. Eppure anche Braccialarghe aderisce al Manifesto. Un manifesto che, pensate, minacciava la proprietà privata! E qui magari non ci si è nemmeno accorti, che essa, in nome dell’interesse generale, sarà minacciata anche nella Costituzione repubblicana del 1948, articolo 42, terzo comma. Braccialarghe era un combattente e Rossi un liberale atipico. Entrambi avrebbero spogliato volentieri i proprietari e gli imprenditori che in Italia avevano finanziato e ancora finanziavano Mussolini. Nell’autunno del 1941, l’odio verso il fascismo che aveva appena invaso la Russia socialista, era alla base della politica di Ventotene e superava tanti steccati. Il Manifesto è successivo alla divisione fra anarchici, comunisti, liberali, repubblicani, consumatasi in Spagna. Rappresenta il primo atto compiuto di una riappacificazione dettata dalla crisi dell’Urss, sotto attacco e che appare spacciata e dalla necessità di abbattere il regime, nella speranza quasi utopistica di una nuova identità europea. Poi sappiamo benissimo come questa unità di Ventotene ebbe tempi contingentati. L’America sarebbe entrata in guerra e comunisti e socialisti, appena possibile, emarginati. Intanto quel primo passo servì a rovesciare il fascismo e si capisce perfettamente che l’Europa dell’onorevole Meloni non sia quella descritta da Ventotene. La sua, semmai, era quella dall’altra parte delle sbarre, contrapposta.
A fronte di un governo inconsistente come quello attuale, verrebbe quasi da chiedersi se non valesse la pena di superare le tante differenze che dividono le opposizioni pur di abbatterlo alla prima occasione utile. Recuperare, non lo spirito “lungimirante”, quello oramai è perso, ma almeno quello “audace” e mandare a casa un governo pusillanime come l’attuale. Poi ognuno riprenderà il suo percorso. Un azzardo che magari si eviterebbe volentieri. Perché mischiarsi con chi è tanto diverso, rischiando di replicare le divisioni e le incapacità di questo stesso governo e in un secondo momento, per giunta? Calenda è corso in piazza alla manifestazione cosiddetta europeista, poi ha subito frenato su Ventotene. Comprende perfettamente il dilemma. Il leader di Azione non sopporta Renzi, figurarsi Schlein e Conte e come non capirlo, anzi. Solo che se il governo Meloni continua in questo modo, privo di una bussola, Salvini la scavalca nei rapporti con gli americani, oltraggioso persino verso le origini culturali dell’Italia Repubblicana e dell’Unione Europea, anche Calenda si farà delle domande.
Altiero Spinelli lo vedete a Bruxelles in una statua a suo ricordo eretta dal Parlamento europeo riconoscente. Nessuno può escludere che ad un dato momento si dica basta. Persino il partito della Ragione può essere tentato dell’avventura ed il governo Meloni sta facendo di tutto perché ragione ed avventura finiscano per coincidere. In un simile momento, pur di sbarazzarsi dell’esecutivo, come in una ebrezza, si diventa disponibili a qualsiasi passo, esattamente come avvenne a Ventotene:
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