La possibilità di ripristinare una normalità di relazioni fra Cina e America dopo la visita del segretario di Stato Usa Blinken a Pechino è tutt’altro che scontata. La sola questione del Taiwan che viene pur presentata come insormontabile nasconde una condizione di malessere diffuso per l’espansione americana nel Pacifico. La collaborazione per la sicurezza fra Australia e Giappone, irrita Pechino molto maggiormente dell’insubordinazione taiwanese, su cui pure viene scaricata tanta frustrazione. E tuttavia la Cina, che sotto un profilo geopolitico, avrebbe davvero ragione di veder minacciata la sua sfera di influenza in Asia, o per lo meno drasticamente limitata dal tempo della presidenza Obama, non ha ancora invaso nessuno. Al contrario, vissuta una crisi formale delle relazioni con gli Stati Uniti, l’abbattimento del pallone sonda come pretesto, ne cerca il ripristino. Aveva ragione Montesquieu che riteneva la Cina dotata di confini troppo estesi per avere dei nemici naturali, quando la Russia se la si guarda bene è solo un assemblato di Stati diversi che potrebbero andarsene appena possono, esattamente come ha fatto l’Ucraina.
Il presidente Prodi in un’intervista andata in onda a La7 ha ricordato come nello scorso novembre, nel massimo momento di tensione tra Washington e Pechino i portuali di Los Angeles non erano in grado di scaricare tutta la merce che arrivava dalla Cina. Un terzo delle esportazioni cinesi viene fabbricata da multinazionali in gran parte americane, per cui per quanto la battaglia politica infuri, Prodi ha detto sorridendo che “cane non mangia cane”. Vi sarebbe da considerare anche un’altra realtà oramai radicata, ovvero i cinque milioni di cittadini cinesi che vivono negli Stati Uniti e contribuiscono al benessere economico delle due nazioni per non parlare della cifra altrettanto rilevante dei cittadini cinesi nel resto dell’Occidente. Solo l’Italia ne ospita quasi 400 mila, ma ci sono Chinatown, a Lione, a Rotterdam a Manchester, oltre che in molte delle principali capitali europee. Nessuno dei loro abitanti ha rinunciato alla nazionalità cinese, al limite ne hanno una doppia e visto che svolgono tutti un’attività commerciale od imprenditoriale, hanno conti in banca anche nel loro paese di origine in cui si recano regolarmente e in cui contano di tornare a vivere. Tutti questi cinesi non sono le avanguardie della colonizzazione che ci minaccia, è semmai un Erasmus, la loro specializzazione nel libero mercato direttamente sul posto.
Quando il professor Prodi era presidente dell’Iri si dovette cimentare nella costruzione di un’industria in Russia, i tecnici cinesi si offrirono subito come partner strategici. Già al tempo di Deng Xiao Ping, la Cina stava due piste avanti alla Russia. La Cina di Deng ammirava il sistema economico occidentale ed era intenzionata a conciliarlo con una dottrina politica come quella del partito comunista. La Cina di Xi ritiene invece di poterci guardare dall’alto in basso, soprattutto noi europei appariamo troppo lenti ed impacciati nel progresso economico. Eppure per la prima volta dopo decenni di continua espansione, la Cina ha conosciuto la decrescita, la prima crisi di saturazione del mercato capitalista, o semplicemente i primi intoppi che sono propri a questo sistema quando viene adottato. La Russia non sa cosa sia la crescita economica, ha un sistema comprovato che si regge sul semplice sfruttamento delle risorse concentrando i capitali nelle mani degli amici dello Stato e lasciando alla popolazione qualche avanzo, più o meno la stessa situazione che si era trovato davanti Stolypin quando convinse lo Zar della necessità di fare riforme che mai sarebbe riuscito a completare. È passato più di un secolo e la Russia è rimasta lì, al 1909, ad un modello che non ha nessuna possibilità di importare in occidente. Quando ci ha provato a forza nella seconda metà del secolo scorso è stata respinta con perdite. Adesso nemmeno l’Ucraina vuole accettarlo. La Cina invece ha già superato il nostro stesso modello come efficienza e successo. Si tratta di capire se riuscirà a continuare a limitare i diritti civili e la libertà individuale rispetto a quanto avvenga in occidente. In altre parola, la Cina rappresenta una variante di modello in senso autoritario, non uno diverso. Diverse volte il mondo Occidentale si è trovato in questa stessa situazione, soprattutto nel secolo scorso, con risultati, altalenanti e comunque tali da lasciarsela alle spalle.
La conflittualità sino americane appartengono comunque allo stesso polo, su una scala globale è rappresentano il limite vero ai rapporti sino russi che sono sempre stati pessimi in tutta la storia di quelle due nazioni. La Russia, al contrario della Cina, vive per espandersi come governo, non come mercato. Ed è su questo aspetto che bisogna fare le valutazione della crisi in Ucraina, non sulla capacità bellica che si dispone sul campo. È già capitato di schiacciare un nemico militarmente e perdere lo stesso la guerra. Senza una proposta sociale ed economica praticabile da offrire ad una popolazione vinta, si finisce per essere sconfitti.
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