Il legame della tradizione repubblicana con quella liberale si evince dalla bandiera mazziniana del museo di Genova. Un tricolore con la scritta “Libertà o morte”. Due secoli fa. Il motto risale almeno al 1789, quando Antoine Barnave, fondatore del club giacobino si fa incidere sui bottoni della divisa di rappresentante le lettere che formano “la liberté ou la morte”, Barnave fonderà poi il club dei foglianti, ma il tratto unitario resta segnato, tanto è vero che il partito repubblicano italiano appena arrivato nel Parlamento europeo nel 1975, ecco il nostro secolo, contribuisce a fondare, il gruppo parlamentare dei liberali democratici e riformatori. L’idea di costituire un riferimento italiano a quanto costituito in Europa, risale per lo meno al 1989, non a caso due secoli esatti dalla grande Rivoluzione. Il Pri lanciò il polo laico. L’allora risultato elettorale fu un fiasco. Con il Pli e i radicali si prese meno di quanto prendemmo da soli tre anni dopo. Le differenze storiche e persino antropologiche fra repubblicani, liberali e radicali erano ancora rilevanti. In più sul mondo liberale gravava l’opzione di un partito socialista riformatore, quello di Craxi e Martelli da cui i partiti laici sentivano il bisogno di emanciparsi. Quel partito socialista non esiste più è stato inglobato dal partito democratico che raduna principalmente cattolici ed ex comunisti e lo spazio politico si è riaperto. Purtroppo il Pri ha perso da allora più di vent’anni per comprendere l’esigenza di rilanciare un progetto liberale utile anche per uscire dalla spaccatura fra popolari e socialisti, fra destra e sinistra che ha diviso il paese. Dobbiamo principalmente agli amici Widmer Valbonesi e Saverio Collura se abbiamo ripreso questa strada interrotta nel 2014. Poi anche altri soggetti hanno compreso come un simile progetto poteva essere vincente ed infatti due esponenti di peso del partito democratico, Renzi e Calenda si sono staccati da quel partito per imboccarla. I maggiori frutti li ha però raccolti l’onorevole Meloni che opponendosi ad un governo prima e a due partiti poi che avevano limitato le libertà dei cittadini e delle imprese senza remora alcuna, ha trovato spianata la strada. Quello che però appare evidente oggi è che nonostante i buoni propositi, l’onorevole Meloni ed il suo governo sono latenti proprio sull’aspetto fondamentale capace di caratterizzare un progetto liberale, le riforme. L’unica di cui si discute, per quanto importante sia, è quella sulla Giustizia e al governo non sembrano nemmeno molto convinti di volerla fare. Le riforme di cui ha invece bisogno il paese sono quasi infinite e richiederebbero un’agenda fitta, puntuale e dettagliata.
Si sperava di discutere questa agenda con Calenda che sulla scena si era presentato benissimo per perdere poi rapidamente smalto a cominciare dalla campagna elettorale iniziata rocambolescamente. Poi senza sapere capire cosa Calenda volesse fare, ci siamo trovati con la candidatura Moratti alle Regionali in Lombardia. Nemmeno a dirlo Letizia Moratti se ne uscita ieri spiegando che bisogna tutelare il sistema di licenze dei tassisti, che se a Milano è come a Roma, significa rendere un servizio alla cittadinanza improbo e a caro prezzo. Guardate se in Spagna ci sono i problemi che ci sono in Italia per trovare un taxi. Calenda ha compreso la gaffe del suo candidato e lo ha subito smentito, Azione e meno male è per la liberalizzazione del mercato, come deve essere. Per questo il Pri non ha sostenuto la Moratti, la conosciamo. Se si vuole fare un progetto liberal-democratico in Lombardia come in Italia, occorre disporre della sufficiente determinazione e convinzione, nelle tesi e negli argomenti. Altrimenti rischiamo di fallire il colpo una seconda volta. Per cui è meglio un profilo basso, cosa che Calenda non si rende conto di non riuscire a tenere, con il rischio di far fallire ancora quella svolta decisiva per la società italiana che aspettiamo già da trent’anni.
L’Italia che farà la sua parte
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