Sono quarant’anni esatti dal 9 ottobre 1982, la ricorrenza di Shemini Atzeret, una cerimonia che è parte integrante della liturgia ebraica di Sukkot, la biblica ‘Festa delle Capanne’. Era shabbat quando un commando armato palestinese si avventò contro la folla dei fedeli riunitosi davanti alla Sinagoga Maggiore, sul lungotevere di Roma. Il piccolo Stefano Taché, di appena due anni fu la vittima predestinata di questa infamia che è ancora aperta perché mai siamo stati capaci di assicurare i responsabili alla giustizia. In verità non sappiamo nemmeno quanti fossero. All’atrocità commessa si è aggiunta dunque l’inquietudine di una falla clamorosa dei dispositivi di sicurezza che pure erano predisposti, ed il sospetto che si fosse verificato con il crimine, un capitolo ulteriore della strategia della tensione, magari con la complicità di qualche servizio dello Stato.
Pochi giorni prima il capo dell’Olp, Yasser Arafat, era venuto in visita in Italia e si era presentato per un discorso al Parlamento italiano con la pistola alla fondina della cintura. Arafat in quegli anni non era il Nobel per la pace, ma un noto terrorista con un mandato di arresto sulla testa, spiccato dalla procura di Venezia per traffico internazionale di armi. Ricordiamo il solo repubblicano Giorgio La Malfa ad aver espresso a nome del Pri l’indignazione ed il ribrezzo per una simile passerella.
Che ci sia una correlazione fra la visita di Arafat in Italia e l’aggressione alla sinagoga di Roma, è scritto nella storia. Eppure questo non ha impedito che si continuasse a coltivare una simpatia nei confronti dell’Olp e ad esprimere un sostegno diretto ed indiretto a quella organizzazione persino davanti al sequestro dell’Achille Lauro. Il sentimento patriottico risvegliato da un presidente del consiglio italiano che rifiuta di consegnare degli assassini alla giustizia del paese della loro vittima, non ha bisogno nemmeno di commenti. I terroristi dell’Achille Lauro fuggirono tutti, come sono fuggiti gli assassini del piccolo Taché.
C’è una trama profonda di antisemitismo e di connivenze da parte di una nazione che ha varato delle leggi razziali e perseguitato un popolo inerme nella massima indifferenza. La colpa scaricata sui tedeschi è tutta nostra. Un fondo limaccioso che impedisce qualunque trasparenza. Il fascismo certo, il gran muftì di Gerusalemme era amico di Hitler, ma il fascismo è un prodotto del socialismo, come il nazismo è nazional socialismo. Le amicizie di cui gode l’Olp prima e di cui poi godrà Hamas, sono variopinte ed estese. Se poi consideriamo l’incapacità dimostrata dalle inchieste giudiziarie, vengono i brividi. Vent’anni che indagano su Berlusconi, quanti anni hanno indagato sulla morte di Tachè i nostri bravi magistrati?
Negli anni Settanta del secolo divenne di moda un fenomeno politico all’apparenza marginale, il “nazimaoismo”. Alle sue origini vi era un meraviglioso scrittore francese, Drieu la Rochelle, un fanatico antisemita, un collaborazionista di Vichy. La Francia libera, Drieu la Rochelle, non si fosse suicidato, l’avrebbe buttato in galera. Per prima cosa i gaullisti spiccarono un mandato di arresto nei suoi confronti. I nazimaosti italiani, assistito imperturbati alla morte di Tachè, hanno poi incrementato il loro odio antiebraico serenamente combattendo Israele. Vivi e vegeti sono rimasti in circolazione e hanno fatto persino carriera.
Ri_Ya