Un’agenzia Ansa della giornata di ieri ha reso noto che quarantadue lavoratori in nero sono stati scoperti dalla Guardia di Finanza in provincia di Foggia. Tra loro 15 percepivano il reddito di cittadinanza. Le irregolarità riscontrate dalle Fiamme Gialle hanno riguardato bar, strutture ricettive e di ristorazione lungo la costa garganica, oltre a lidi e stabilimenti balneari, in tutto i riscontri si sono registrati in una decina di località. Chiunque mostri una qualche sensibilità alle questioni della giustizia sociale prima di preventivare iniziative utili al raggiungimento di un obiettivo che recepisca queste finalità dovrebbe disporre chiaramente della condizione lavorativa del paese. Sarebbe dunque per lo meno necessaria un’estensione aggiornata dell’impegno della Guardia Finanza su tutto il territorio nazionale. Questo per sapere se i lavoratori in nero sono in Italia i soli 45 del foggiano, o i 450 dell’intera Puglia, o 4500, in tutto il Mezzogiorno, o magari 45 mila dell’intera Italia da Gioia Tauro a Misurina. Solo una volta che fosse redatto al dettaglio un quadro di questo genere sarebbe possibile decidere un intervento sul mondo del lavoro, ad esempio, uno sui salari, senza rischiare di invertire la presentazione di Mefistofele a Faust, ovvero di rappresentare quella forza che invece di “volere il male ed operare il bene”, vuole il bene ed opera il male.
Anche se si trattasse di poche decine di lavoratori, la giustizia sociale non potrebbe comportarsi in maniera approssimativa, perché verrebbe meno al suo presupposto egualitario, tale per il quale nessuno, tanto meno 45 persone su 50 milioni, possono essere considerate più eguali degli altri. E meno male che il governo, che si è proclamato attraverso il presidente del consiglio, sensibile al tema della giustizia sociale, tanto da colpire gli extraprofitti delle banche, ha già smantellato il reddito di cittadinanza. I 15 percettori dello stesso fra i lavoratori in nero scavavano un solco di diseguaglianza anche all’interno di una categoria di lavoratori che disattende le leggi dello Stato e non si può nemmeno sminuire la questione, dicendo che si tratta pur sempre di salari poveri, dal momento che fra i percettori del reddito sono stati scoperti personaggi usi a spostarsi in Ferrari.
Eccoci dunque arrivati al punto di definire quale misura fondamentale debba necessariamente precedere un intervento di equità sociale, ovvero una misura di polizia generale, tale per la quale ciascun cittadino possa rispondere del suo operato davanti alla legge e fornire le prove della sua correttezza e della sua eventuale indigenza, nel momento nel quale lo Stato gli si presenta davanti. Questo quando sotto il profilo del diritto, lo Stato semmai dovrebbe muoversi soltanto sulla base di un presupposto di colpevolezza. Eppure senza aver definito quello che nei fatti appare come uno Stato di Polizia, non vi è una sola possibilità di realizzare qualche forma degna di giustizia sociale. Allora si potrà anche varare un salario minimo. Altrimenti restano solo le opere di carità.
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