Chi ha studiato un po’ di storia, si preoccupa prima di tutto delle sue varianti, alla base delle quali spesso non si trova una condivisione, nemmeno quando la storia viene scritta dai vincitori, figurarsi quando poi la storia è scritta dai perdenti. Anche solo una storia che dovrebbe essere conosciuta universalmente, la Rivoluzione russa, ne presenta infinite fra prima e dopo il crollo dell’Unione sovietica, per esempio. Ma già in epoca sovietica, la storia della Rivoluzione russa scritta da Trotskij, venne censurata e messa all’indice dal regime. Eppure si poteva disporre a proposito di uno storico più attendibile di Trotskij, il leggendario comandante dell’Armata rossa, il principale confidente di Lenin? Abbiamo come l’impressione che il ministro degli Esteri russo Lavrov salito in cattedra per dare lezioni, non ci abbia pensato.
Noi occidentali ricordiamo ancora il professore della Sorbone Aulard che credeva di vedere, dietro le sue lenti appannate da lacrime di gioia, il giacobinismo nel bolscevismo, un Marat in Lenin, un Saint Just in Trotskij. L’illustre accademico convinse mezza Europa del miracolo compiuto, ovvero la ripresa rivoluzionaria ad un secolo di distanza, oltre le migliaia di chilometri, lo sapeva bene la Grande Armata, quelli che separano Parigi da Mosca. Il buon Aulard non prendeva in considerazione un altro storico suo connazionale, l’aristocratico Tocqueville che vedeva la rivoluzione tutta a modo suo. Tocqueville era convinto che quella francese non fosse altro che la continuazione della politica imperiale sotto nuove vesti. Un travestimento, un imbroglio insomma. Ecco subito due diverse visioni della storia, una progressista con Aulard, una reazionaria con Tocqueville. Quale ha ragione? E se mai sbagliassero entrambe?
Il ministro degli esteri russo Lavrov ha affermato che i leader occidentali “dimostrano di non conoscere la storia”. Bisognerebbe dicesse di che storia sta parlando. Non crediamo quella secondo la quale Hitler era ebreo che ha obbligato il suo governo a chiedere scusa ad Israele. Poi per carità, figuratevi se in occidente non si possano trarre conclusioni sbagliate dalla propria valutazione del passato. Se però si tratta di dare un giudizio su “cosa sia la Russia”, bisogna pur considerare che ci se ne occupa da decenni. Mai avesse ragione la tesi di Tocqueville, ecco che anche la Russia potrebbe avere una sostanziale continuità fra l’impero zarista e l’Unione sovietica. Cosa ne pensa Lavrov? Ed il suo regime che consente di sventolare le bandiere sovietiche sui carri russi con la Z, a chi si ritiene più vicino o continuo, come identità storica? L’Urss aveva una certa predisposizione a invaderla l’Europa, dalla Finlandia alla Polonia, dall’Ungheria alla Cecoslovacchia. Non parliamo di cosa avvenne in Ucraina. La storia dell’Ucraina la conosciamo molto bene, tanto che non ci saremmo mai ripresi la Crimea che forse Crusciov diede a titolo di riparazione per i misfatti compiuti in quella regione dal regime di cui lui stesso era un esponente.
A Lavrov bisogna però rivelare una verità profonda sulla visione della storia dell’occidente e la sua evoluzione che potrebbe dispiacergli. La Russia zarista era fondata sulla servitù della gleba in un’epoca in cui l’occidente aveva esteso il diritto napoleonico persino all’Austria Ungheria. È possibile che Stalin ed Hitler trovassero un’intesa perché tutto sommato in misura diversa, una forma di servitù della gleba non dispiaceva affatto ad entrambi. La popolazione ucraina fu comunque trattata peggio dei servi della gleba, forse questo dovrebbe tenere a mente Lavrov della storia. C’è una ragione per cui gli ucraini non ne vogliono sapere più dei russi, proprio causa questa storia, che Lavrov vuole ignorare completamente. Una storia in cui la Russia di ieri, come quella di oggi, è sempre sé stessa, incapace di seguire un percorso di emancipazione dei popoli, quale sia il regime che si ritrovi al potere. È una storia perdente.