Sul panorama politico italiano, agitato in questi giorni dalla prospettiva della caduta del governo Draghi e del ritorno anticipato alle urne, incombe uno spettro sottaciuto dai più. Trattasi della legge elettorale, tassello imprescindibile per un ricorso alle urne pienamente democratico. La legge elettorale non è altro che un meccanismo politico-matematico che converte i voti in seggi.
Vi sono sostanzialmente due tipi di legge elettorale: una converte pedissequamente i primi nei secondi secondo la logica “tanti voti, tanti seggi”, ed un’altra che inserisce nell’equazione delle modifiche, dei correttivi, dei bilanciamenti. Da qui l’eterna diatriba “proporzionale” contro “maggioritario”. Il primo rappresenta in maniera secca, neutrale, le opinioni politiche espresse nel paese, mentre il secondo premia con un bonus di rappresentanza i suffragi maggiormente gettonati dagli elettori, anche se in definitiva minoritari nelle urne.
In Italia, dove non ci piacciono le cose semplici, abbiamo in vigore un sistema misto, chiamato informalmente “Rosatellum”, dove ad un impianto proporzionale sono implementati meccanismi di correzione del voto di natura maggioritaria, che per i suoi ideatori avrebbero dovuto garantire la cosiddetta “governabilità”. Una sorta di parodia dei sistemi inequivocabilmente maggioritari come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dove la forza politica che prende anche solo un voto in più degli avversari si porta a casa tutta la posta in palio ovvero la rappresentanza parlamentare.
Si è tanto scritto e tanto letto dei limiti del proporzionale puro, in vigore in Italia nel corso della cosiddetta “Prima repubblica”: sono stati descritti parlamenti in balia delle piccole forze politiche che avrebbero generato governi ballerini spazzati via dai capricci dei partitini e dalle correnti, come se in Italia non avesse governato per cinquant’anni letteralmente sempre lo stesso partito. E mi si corregga se sbaglio, ma quanto viene imputato al proporzionale, è precisamente quanto abbiamo visto accadere nel corso della “Seconda repubblica” a trazione maggioritaria, dove bastava un Bertinotti per far cadere un Prodi, e nella “Terza repubblica” ibrida proporzional-maggioritaria in cui agli “-ismi” gloriosi del passato (popolarismo, socialismo, liberalismo, comunismo, repubblicanesimo, azionismo) si sono sostituiti gli “-ismi” decisamente più prosaici dei vari leaderini di passaggio: renzismo, grillismo, salvinismo, contismo.
Quindi, sgomberiamo il tavolo da un equivoco: l’attuale sistema elettorale non garantisce la governabilità, ma solo l’onnipresenza del capo-popolo di turno. Il quale poi nel giro di tre anni si brucia inesorabilmente e rimane solo “capo” senza “popolo”, come nei casi di Renzi, Salvini e di tutto il M5s. Tutto semplice allora? Anche al prossimo giro ci troveremo la solita maggioranza raffazzonata e litigiosa che cadrà al primo spiffero di vento?
Non è proprio così, perché come si è già detto in Italia le cose semplici non ci piacciono. Attualmente le simulazioni di voto basate sui sondaggi più recenti, danno la coalizione di destra(centro) composta da Meloni, Salvini e Berlusconi sopra il 40% delle intenzioni di voto. Una soglia non esaltante per una coalizione che crede di avere dalla sua il vento della storia, ma comunque sufficiente per ottenere il 60% (avete letto bene, il sessanta-per-cento) dei seggi in Parlamento.
E come mai tutto ciò? Perché la destra(centro) vincerebbe a mani basse quasi tutti i parlamentari attribuiti con sistema maggioritario. In fondo basta un voto in più dell’avversario per portarsi a casa tutta quella preziosa quota di rappresentanza. Con il 60% dei voti si fanno molte cose: si modifica la Costituzione con una certa facilità, si eleggono Presidenti della Repubblica in un batter d’occhio, insomma si fa man bassa di tutti i presidi di garanzia che rendono una Repubblica uno Stato di diritto, dove chi governa non assume il potere assoluto. Il che è sufficiente per farci preoccupare.
Dunque, se è vero che il ricorso alle urne anticipate non può essere un tabù, visto che la legge lo prevede, ciò che non deve accadere è che si vada a votare con questo bizzarro sistema elettorale pensato per far vincere Renzi quando aveva il 40% e che finirà per far stravincere Meloni anche molto al di là dell’effettiva volontà popolare, stravolta dai meccanismi distorsivi del maggioritario. Purtroppo quando si tratta di mettere mano alla legge elettorale i partiti non hanno ottimi precedenti da mostrare: da ogni parte si sono fatte riforme tagliate su misura per la propria convenienza del momento e al diavolo l’integrità del sistema repubblicano.
E sicuramente non è alle viste una riforma della forma di governo che richiederebbe il mettere mano alla Costituzione, per procedere magari verso un sistema semi-presidenziale, con ballottaggio e doppio turno, che tanto servirebbe al Paese, garantendo, quello sì, sia la rappresentanza che la governabilità. Quello a cui si può ambire al massimo è il male minore: il ritorno del caro vecchio proporzionale, che con tutti i suoi difetti, è “neutro”, non invasivo, non distorsivo e in definitiva, quanto di meno peggio può accadere a questa nostra amata, bistrattata, povera Italia dei post-partiti e della post-politica.
Foto Palazzo Chigi CC0