Il 23 gennaio scorso erano 50 anni esatti dagli accordi di Parigi redatti fra l’amministrazione statunitense ed il governo nord vietnamita. Questi accordi firmati da Kissinger e Le Duc Toh stabilivano il rispetto dei diritti fondamentali del popolo vietnamita; l’autodeterminazione del popolo sud-vietnamita; la cessazione dell’attività militare Usa; il ritiro di tutte le forze militari americane; la riunificazione pacifica del Vietnam; l’ impegno americano alla ricostruzione del Vietnam del Nord. Se si guardava a quanto avvenuto anche solo vent’anni dopo, si comprende che quegli accordi si sono realizzati. E questo perché gli americani erano riusciti a portare un piccolo ed aggressivo Stato stato autoritario e militarizzato come era quello di Hanoi al tavolo del negoziato. I successore di Ho ci min erano oramai sfiduciati dal supporto offerto dai loro alleati russi e cinesi e soprattutto avevano avuto troppe perdite negli ultimi tre anni di guerra. Nessuno ricorda più quella data perché da una parte ci sono le ragioni della propaganda e la retorica pacifista, per cui gli americani semplicemente persero, dall’altra parte l’amministrazione statunitense venne effettivamente travolta, ma dallo scandalo Watergate non dall’esercito nord vietnamita. Solo quando i nord vietnamiti videro Nixon fuori gioco capirono che potevano anche strappare gli accordi presi. Allora le recrudescenze di un conflitto quasi ventennale colpirono la popolazione sudvietnamita, subito vessata dal nuovo governo comunista, soprattutto le popolazioni dei monti. In compenso le crisi militare con la Cina prima e quella politica con la Russia. Poi, portarono il governo del Vietnam a riprendere i rapporti considerati conclusi con gli Stati Uniti d’America. Hanoi non aveva combattuto trent’anni contro le più grandi potenze occidentali per condurre una vita in schiavitù e miseria. Per accorgersene basta seguire i dati sulla crescita e gli investimenti avvenuti dagli anni ’90 del secolo scorso che hanno portato il Vietnam ad un’espansione economica impressionante e non solo rispetto agli altri paesi dell’area.
Il primo a comprenderlo fu il generale Giap, già nel 2002. Appena il più grande capo militare della seconda metà del secolo scorso, usciva dalla caserma in cui viveva circondato dai suoi soldati, si convinceva di aver perso la guerra. Hanoi era tutta un pullulare di Mc Donald, insegne della Coca Cola e filiali dell’ American Express, giovani in blue jeans. Non c’era nemmeno bisogno di considerare gli investimenti tecnologici statunitensi avvenuti. La prosperità della vecchia colonia indocinese era interamente dovuta al successo finanziario americano una volta archiviato lo scenario bellico. Se invece ci atteniamo allo stretto profilo militare, gli americani in Vietnam commisero un solo autentico errore con la costruzione della linea Mc Namara. Quella era completamente priva di senso, in quanto il Vietnam era tutto scavato dal tempo della guerra di liberazione ed i nord vietnamiti ti sfilavano via sotto i piedi. Ma nemmeno Ke Shan fu un sconfitta, al contrario si trattò di un capolavoro di ritirata strategica. Del resto le truppe combattenti americane persero meno di 60 mila uomini in 14 anni, quando l’esercito del nord Vietnam nello stesso tempo contò più di mezzo milione di effettivi uccisi.
Il vero problema del Vietnam fu geopolitico non militare. Se Kennedy pensava di poter salvare l’indipendenza del Sud Vietnam, Nixon lo escludeva. L’unico interesse di Nixon era di guadagnare il tempo sufficiente perché la Tailandia non venisse invasa. Se il Laos e la Cambogia erano già perse e e la Birmania messa al sicuro con il colpo di Stato dei generali, la Tailandia era l’ultima regione indipendente messa a rischio. Se i comunisti fossero arrivati a prendere la Tailandia, tutta l’Indocina sarebbe finita sotto il loro tallone perché sarebbe presto caduta anche la Birmania. Questo fu l’obiettivo militare americano nella seconda parte della presidenza Nixon e questo obiettivo venne raggiunto, il Vietnam del nord fiaccato dalla guerra americana non era più in grado di procedere oltre Saigon, essendo oltre tutto obbligato a combattere i khmer rossi in Cambogia.
I pacifisti che sfilavano in Europa ed in Italia ovviamente di tutto questo non si occupavano minimamente, ce n’era persino di chi convinto che fosse la presenza americana ad aver scatenato la guerra, che l’America non fosse un esercito chiamato in soccorso da una paese sovrano minacciato, ma un’esercito di invasione. Lo abbiamo letto ancora ieri sul blog di Grillo, dove un illustre professore sostiene il perverso disegno dell’imperialismo americano che schiavizza l’Europa. Sono passati 50 anni ed il Vietnam oggi è il miglior amico degli Usa in tutta l’Asia, per cui serve un nuovo emblema, l’Ucraina. È colpa degli americani se un bonaccione come Putin bombarda la popolazione ucraina da un anno, questa la tesi da far bere a tanti buoni cittadini europei. In fondo erano proprio i governi europei, quello tedesco, quello italiano, che gli americani avevano attaccato, governi che evidentemente i personaggi che tanto ammirano Putin, rimpiangono.