Io vorrei dirvi: mi occupo di politica. Che vuol dire, dal punto di vista mio, cercare di capire la complessità del nostro vivere insieme. Vuol dire avere un’idea di come funziona questa macchina meravigliosa che si chiama Stato. Quali sono gli ingranaggi che funzionano bene, quali quelli che funzionano peggio. Vuol dire avere un’idea di mondo e condividerla. Vuol dire studiare le teorie economiche, e divulgarle. Vuol dire avere attenzione per sociale, e sensibilizzare. Vuol dire, da intellettuale, legare il mio nome, e lo sto facendo, a realtà storiche e importanti come La Voce Repubblicana e l’Almanacco Repubblicano. Perché diventa quasi una questione di apostolato, capire che bisogna educare all’unità, alla concordia, alla riflessione (e anche allo studio), alla solidarietà.
Però poi la sera, come tutti, scorro i social. E mi accorgo che sul piano della comunicazione sto sbagliando tutto. Perché io cerco una profondità che non c’è. È come andare giù in acqua, fare le acrobazie. Solo che non siamo in un acquario. Gli altri sono tutti in superficie e quello che fai non lo vedono. Non gli interessa. E cosa c’è in superficie? Le incriminazioni di Trump, gli scandali messi a tacere a suon di soldi, le analoghe imprese di Berlusconi, i richiami alle orgettine, Bugo e Morgan, l’Inter, il Grande Fratello, la Ferragni, l’ultima cattiveria della Lucarelli, gli Ufo di Red Ronnie. Un interesse per tutto ciò che è spicciolo, frivolo, immediato. Buono per indignazioni istantanee, e per radicali prese di posizione. Tutto diventa comodo e in bianco e nero. Contrapposizioni facili che rendono facile il tuo schierarti: buoni contro cattivi, fascisti e comunisti, clericali e mangiapreti, i buoni di là, i cattivi di qua, senza via di mezzo, senza distinguo. Che fai? Ti metti a sottilizzare? Non ti fidi? A me piace la pasta, e la pizza, come ogni buon italiano. E anche questo sarebbe oggetto di osservazioni. A me piace conservarli i soldi, non investirli. Se uno ha 30000 euro e li investe è un mentecatto. Se non li investe è un egoista. Meglio non averli i 30000 euro così si risolve il problema e non si corrono rischi.
Siamo atomi egoisti, indifferenti. Soli. Rancorosi. Pronti ad abbaiare. Ogni idea di architettura sociale si scontra contro questa rabbia. Cialtrona, superflua. Ciabattona. Un continuo e trasandato lamentarsi contro tutto. Contro rigori non dati, contro migranti non accolti, contro idee di famiglia, alternative e qualche volta aberranti. Tutto è pretesto per litigare. Ormai puoi pure citare Hegel, qualcuno stai pur sicuro che ti darà del monista. Ogni presa di posizione non è mai presa per quello che è, nei salotti televisivi, nei post. Mai. Diventa sempre un’occasione per denigrare e insultare. Altro che la missione del dotto di Fichte. Oggi a Fichte si direbbe che ha i capelli unti. E forse anche la forfora. Non il dibattito, ma la polemica per il gusto di offendere, dividersi e polemizzare. Non c’è eroe per il suo cameriere, avvertiva appunto Hegel. Solo che non poteva immaginarsi un mondo per camerieri fatto di camerieri. Certo, sono critiche trasandate e sempre estrinseche, ma ormai è difficile trovare altro. Nemmeno più il buon senso ci rimane se non c’è il senso.
Questa povertà di contenuti è espressa in una imbarazzante povertà di linguaggio. Abbiamo un bagaglio lessicale sempre più striminzito. Già Twitter ci obbligava a riflessioni contenute. Soggetto verbo complemento. Su Instagram oggi va pure peggio. Ha scritto recentemente Fabrizio Caramagna: «Già adesso […] questa semplificazione del complesso, questa riduzione delle emozioni e dei pensieri a dei puri segni senza un vero significato, sta avvenendo su Instagram. Ho analizzato il profilo di circa 100 spunte blu (vip e influencer) ed è tutto un susseguirsi di: “My favorite place”, “Settimana meravigliosa”, “Red Passion”, “Verso nuove avventure”, “Buon risveglio a tutti”, “Ready to go”, “L’ora più bella”, “Best of these days”, “Sunset vibes”, “Miami Style”, “Details”, “Day 3”, “Woman in black”, “Happy!”, “Night out” e così via all’infinito. Ho trovato fino a 300 espressioni simili, che rimbalzano da un profilo all’altro, creando un villaggio globale del vuoto. Sotto una foto in notturna, una influencer scrive scrive “About last night” e questa espressione la troviamo ripetuta in centinaia di altri profili di influencer. Vanno a Roma e l’unica cosa che sanno dire è “Quanto sei bella Roma” oppure “Roma città eterna”».
Fare l’intellettuale vuol dire resistere e ostinarsi. Testimoniare un mondo espressivo e culturale che rischia davvero di scomparire. Difendere la parola che dice può diventare una battaglia vintage, come quelli che vogliono conservare il gettone del telefono. Eppure bisognerà farlo. Per non essere sopraffatti da emoticon e grugniti.
Foto Giuseppe Moscato, Antica biblioteca vallombrosana | CC BY-NC-SA 2.0