Le elezioni del midterm sono tradizionalmente una prova del fuoco per l’amministrazione in carica, da cui è difficile scampare. Per quella Obama durante il suo secondo mandato si rivelarono talmente catastrofiche che non riusciva più nemmeno a far approvare il bilancio dello Stato, l’America rischiò il default e prepararono l’avvento dell’epopea Trump. Tale epopea, stando agli analisti per lo meno ed ai sondaggi sul gradimento del popolo americano, era prossima a ripartire fin da queste elezioni. A leggere la varietà di commenti, c’erano tutti i presupposti. Dagli errori senili di Biden, al presunto tradimento ispanico americano, fino al sostegno guerrafondaio all’Ucraina.
Ancora prima che si siano contati tutti i seggi possiamo dire con una certa tranquillità che una simile tempesta sull’amministrazione Biden non c’è stata e a dire il vero lo si capiva facilmente dal voto in Maryland passato in mano democratica, cosa che non avvenne nemmeno con la presidenza Roosevelt. Il Massachusset ha una governatrice donna, dichiaratamente omosessuale ed i repubblicani hanno eletto al Senato per la prima volta nella storia un cerokee, ovvero un membro di una tribù che in genere la cavalleria dei bianchi inseguiva nelle pianure.
Il voto dei giovani ha dettato gli equilibri e vedendo minacciati i diritti fondamentali, a cominciare dall’aborto, ha rinforzato iil partito democratico. Trump che si preparava a cantare vittoria, ha strappato probabilmente la maggioranza alla Camera di qualche seggio, è finito con il perdere le staffe contro il suo miglior vincente, il governatore della Florida, DeSantis, prossimo a presentarsi alle primarie contro di lui.
John Artur Schlesinger jr, amava descrivere i flussi elettorali in America come un pendolo. Lo storico kennediano non accettava una divisione del popolo americano dal tempo della guerra civile. La maggioranza si spostava su uno dei due partiti a secondo delle capacità di governo mostrate. Possiamo dire che l’ora dei repubblicani appare parecchio ritardata e tutto sommato è un bene per due motivi. Prima di tutto per la crisi istituzionale avutasi dopo le presidenziali, con l’assalto al Congresso. Non siamo in grado di stabilire se Trump ritenga davvero di essere stato imbrogliato dallo scrutinio dei voti, ma Nixon nel 1960 ne era convinto eccome. E cosa fece Nixon? Tempo un paio d’ore si congratulò con Kennedy. Mai un’ombra venisse gettata sulla democrazia statunitense e le sue procedure da parte di chi crede sinceramente in essa. La seconda ragione è altrettanto importante e riguarda la guerra in Ucraina. Trump non sembra mai aver avvertito durante il suo mandato i rischi del confronto con il sistema autocratico e della minaccia che questo rappresenta al mondo libero, o per lo meno era convinto di poterci andare a braccetto. Obama, prima di lui, semplicemente se ne disinteressava. Non batté ciglio davanti all’aggressione alla Crimea. E non si preoccupò delle conseguenze dalla guerra indiretta a Gheddafi, come della decisione di ritirare le truppe dall’Afghanistan nelle condizioni che conosciamo. La presidenza Biden dopo 15 anni è stata la prima a prendere di petto questa situazione stanziando tutto quello che ha stanziato in armamenti per la difesa di un paese aggredito. Il popolo americano lo ha capito.
Visto questi risultati, un consiglio ai nostri amici pacifisti che stanno qui a dire al governo italiano di non inviare più armi o di cercare una soluzione diplomatica con la Russia. Vadano a manifestare a Washington davanti alle baionette della Guardia Nazionale, invece che a San Giovanni.