Dopo la Critica della facoltà di giudizio di Kant, dove l’interesse estetico si rivolge – pariteticamente – tanto al bello artistico quanto al bello naturale, fino agli ultimi decenni del Novecento, salvo rare eccezioni, si può dire che la natura sia scomparsa dall’orizzonte della riflessione estetica. Torna al centro di quest’ultima, invece, con l’estetica ambientale: un campo di ricerca affermatosi, nei decenni a noi più vicini, soprattutto negli Stati Uniti e in Germania, e poi sempre più impostosi nel dibattito internazionale. Il che è dipeso anche dalla grossa diffusione che, nel periodo appena indicato, hanno avuto le tematiche ecologiche, nonché dalla rilevanza politica che hanno assunto i movimenti teorici in difesa dell’ecosistema. Fa il punto di questa situazione un libro di autori vari, dato alle stampe nei mesi passati (Ecoestetica. Scritti sull’estetica della natura, a cura di V. Maggiore e S. Tedesco, Meltemi, Milano 2023, pp. 418), il quale – come scrive la prima dei due curatori nell’«Introduzione» – riflette, innanzi tutto, «su cosa significa considerare l’ambiente un “oggetto di analisi estetica” al pari degli oggetti artistici», tenta poi di «evidenziale il carattere costitutivamente ambientale dell’estetica in generale», prospettando, infine, «le molteplici direzioni che l’estetica ambientale ha assunto nel dibattito estetico odierno».
Quanto al punto iniziale, la differenza fondamentale che, in sede di riflessione estetica, corre fra oggetto artistico e oggetto naturale sta nel fatto che, mentre il primo è un «prodotto intenzionale», così che la sua interpretazione parte dal presupposto secondo cui tale oggetto comunica a chi ne fruisce dei contenuti esperienziali dell’artista, il secondo è, invece, «interpretativamente indeterminato», nonché dotato di «mutevolezza», dove ciò che lo muove sono processi naturali interni a esso e non un’intenzionalità particolare ascrivibile a un soggetto. Un’altra differenza che distingue i due tipi di oggetti va poi rintracciata nel contesto entro cui ha luogo la nostra esperienza degli uni e degli altri. Mentre nel caso dell’opera d’arte il nostro accesso a essa si dà sempre nel segno di un «distanziamento» estetico che garantisce una separazione fra il soggetto che fruisce e l’oggetto fruito (la cornice per il dipinto o il sipario per il teatro), nel caso degli enti naturali, invece, essi rifuggono da qualsiasi tentativo di inquadramento, perché dotati di un contorno che non è mai netto, ma «sfumato». Cosa che impedisce che su di essi, a differenza dei precedenti, si concentri la nostra «attenzione focalizzata». In più, sempre a proposito degli enti naturali, il fatto che è impossibile scinderli dal contesto cui appartengono riguarda non solo essi, ma anche noi stessi che li contempliamo, dato che non possiamo mai dirci loro semplici spettatori distaccati. Ne discende che l’estetica della natura «non può fondarsi sul concetto kantiano di disinteresse» e si spiega così anche in che modo essa implichi un «immediato rimando alle tematiche ecologiche».
Quanto al secondo punto, relativo al «carattere costitutivamente ambientale dell’estetica in generale», fra le tante prospettive che vengono esaminate nell’«Introduzione», scegliamo di privilegiarne una: quella del filosofo tedesco Gernot Böhme, del quale viene riportato in traduzione italiana il saggio Estetica della natura. Una prospettiva filosofica (1970). Qui, egli parte dalla natura considerandola non come un oggetto che si contrappone a noi soggetti, ma come ciò che «noi stessi siamo». Solo a questa condizione, avremo eliminato il presupposto su cui ha fatto leva la nostra smodata volontà di sfruttarla illimitatamente e di asservirla ai nostri scopi. È così che, riscoprendo gli elementi di naturalità costitutivi del nostro essere, potremo anche metter mano a un progetto di rifondazione dell’estetica, tale che recuperi quei connotati che aveva al suo atto di nascita con Baumgarten, dove essa promuoveva una «forma di conoscenza, significativamente diversa da quella proposta dalla scienza moderna e basata sulla percezione».
Quanto all’ultimo punto, il libro in questione non si limita solo a presentare testi che documentano le linee teoriche principali lungo cui si è mossa finora l’estetica ambientale, ma – sempre nell’«Introduzione» – fornisce anche delle preziose indicazioni sui possibili sviluppi futuri di essa. Uno di questi riguarderà senz’altro il fatto che, interrogandoci su quale sia il posto dell’uomo nella natura, su quale sia la «valenza estetica di ogni luogo» e sul perché esso costituisca una «risorsa identitaria per ciascuno di noi», arriveremo così a «recuperare tutta la grazia, la bellezza e la poesia» che sostanziano il nostro approccio estetico al bello naturale.
Foto Giovanni Muzzioli. Paesaggio. | F. Piccinini, L. Rivi, T. Fiorini (a cura di), Dipinti dell’Ottocento e del Novecento. Museo civico d’arte di Modena, Bonomia University Press, 2013 | CC BY-SA 3.0