Il partito repubblicano italiano avanzò una proposta di privatizzazione della Rai nel 1987. C’era una questione evidente concernente i costi per lo Stato, che sembravano prossimi a sfuggire di mano, e una ancora più grave di governance. Nel complesso si era rivelata molto più efficace la Rai a gestione monocolore democristiana, che quella subentrata successivamente al 1974 nonostante le premesse. Nel giro di pochi anni la Rai era diventato un terreno di scontro fra i partiti, con il presidente Manca costretto a spiegare come i tre spicchi di verità forniti dai tre telegiornali fossero indispensabili all’informazione nazionale. Non fosse che la differenza fra verità e falsità restava da dimostrare. La Rai aveva svolto un formidabile ruolo educativo dal secondo dopoguerra alla gestione Bernabei, grazie al quale gli italiani avevano conosciuto la letteratura russa, la rivoluzione francese, la storia del risorgimento, il grande cinema internazionale da John Ford a Costa Gavras. Nel giro di un solo decennio, la completa decadenza delle promozioni commerciali. Da cui anche il problema del canone. Il senatore Renzi ha ricordato di averlo messo in bolletta e questo per farlo pagare a tutti. Il Pri non voleva che lo pagasse nessuno che non fosse interessato alla programmazione. Un canone si può accettare volentieri per l’informazione e la cultura, come era appunto la Rai fino al 1974, o come è stata meglio ancora la Bbc britannica. Non si può invece accettare un canone per una programmazione commerciale, soprattutto poi nell’era dei decoder. Chi interessato si sintonizzi su quello che gli pare e se lo paghi. Del resto abbiamo visto cosa è accaduto a Sanremo con tensioni e polemiche varie. Anche solo in rapporto ai problemi della guerra in Ucraina e del terremoto in Turchia e Siria, si sarebbero dovute evitare. Invece l’opposizione che ha controllato la Rai per settant’anni si è messa a gridare al “Minculpop” perché il governo vorrebbe subentrarle nell’indirizzo dei contenuti della programmazione. Un compito molto arduo per la maggioranza. Il potere in Rai è stratificato e certo non basterebbe far volare qualche testa per modificarlo.
Quello che potrebbe fare invece il governo è iniziare ad allestire un piano di dismissioni. Ha bisogno la Rai di possedere tanti programmi diversificati? Qualcuno non potrebbe essere ceduto? E non si potrebbero per lo meno accorpare le redazioni giornalistiche? Che senso hanno tre telegiornali? Perché non farne allora quattro visto che c’è, con i cinque stelle, anche Calenda? E basterebbero poi 4 telegiornali ad accontentare tutti? Perché piuttosto non puntare su una semplice qualifica professionale. Al tempo della lottizzazione il Pri a cui spettava un direttore del gr1, nomino Livio Zanetti, che manco si conosceva e di repubblicano aveva i trascorsi adolescenziali a Salò, ma era riconosciuto come un eccellente professionista. Oggi varrebbe la pena dare tutta l’informazione in mano a Bruno Vespa e concentrala in un unico tg, mentre le trasmissioni commerciali si potrebbero mettere sul mercato per capire davvero cosa valgono. A quel punto al cittadino si fa pagare il solo canone per Bruno Vespa, mettiamo una cifra di 15 euro l’anno invece che 115. Con una piccola riduzione della tasse un certo guadagno per lo Stato. Pensate che poteva farlo Berlusconi nel 2001 ed ancora lo stiamo aspettando.
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