Si accendono soprattutto i ricordi, nei giardini interni al Comune, a Latina. Il momento più bello è quello tra i figli di Bassoli e Camangi, il primo sindaco di Latina, e il primo deputato del territorio, membro della costituente. «Ti ricordi? Eravamo a Terracina. C’era Pacciardi…». Ma non è un dialogo di famiglia. O almeno non in senso stretto. Perché la storia è proprio fatta di queste cose. Di persone che abitano idee. O il contrario, di idee che abitano le persone. La storia cioè è fatta proprio di testimonianze, di partecipazione. Per questo vale la pena raccontarla. Per accorgerci che facciamo parte di un divenire ed è impossibile chiamarsi fuori.
La storia di Latina è fatta anche di questo. Il primo sindaco di Latina si chiamava, appunto, Fernando Bassoli. E Licia Pastore ci ha scritto su un libro, pubblicato da Atlantide. Quello che si è presentato stasera, con il sindaco Damiano Coletta (in un incontro introdotto e coordinato da Roberta Sottoriva). Nel dna della città c’è anche questo. C’è l’inaugurazione della Statale 148, fortemente voluta da Camangi (e spernacchiata all’epoca dalla stampa: “che cosa ce ne facciamo di una strada nel deserto che non attraversa centri abitati?”, scrivevano i giornalisti che come sempre ci vedono lungo), c’è l’inaugurazione delle statue a Mazzini e Garibaldi, ai Giardinetti (quelle che ancora non sappiamo chi le ha realizzate, ma ve lo diremo, prima o poi).
Il Pri nasce come noto attorno alle idee di Mazzini e di Cattaneo nel 1895 con Giuseppe Gaudenzi con Arcangelo Ghisleri e appena qualche settimana fa ha celebrato il suo 50° congresso. Non ci sta la tradizione repubblicana a essere considerata solo un Museo, ma ha una identità, un’idea di Stato, un’idea di stare insieme che ha ancora la sua attualità. L’idea repubblicana è quella di una collettività pensata nel suo insieme, gli interessi sono quelli del popolo, non di una parte. Credere in un soggetto rivoluzionario vuol dire fare i partigiani, ma la democrazia deve essere invece la libera composizione delle differenze. Ecco perché la collocazione al centro ed ecco perché i repubblicani possono avere un ruolo concreto solo con una legge elettorale proporzionale, perché il proporzionale implica la collaborazione delle differenze per un lavoro unico, il maggioritario esaspera le differenze e di fatto riduce la politica a una contrapposizione continua, cioè a una partigianeria, cioè a un tifo.
I repubblicani, che oggi si collocano comunque nell’area liberal-democratica, contestano anche il liberalismo in realtà e soprattutto lo stato minimo. Credono nello Stato. Non nello stato totalitario, nello Stato che impone al cittadino, ma lo Stato la cui sostanza è la libertà dei suoi cittadini, uno Stato cioè fatto per garantire la libertà di tutti. Se si annulla lo stato perché considerato con Hobbes un leviatano, un mostro che attenta alle nostre libertà, rischiamo di cadere dalla padella alla brace, ed essere schiavi dell’uomo più ricco, più furbo, più forte: la società civile, quello che Hegel chiamava il regno animale dello spirito, rischia di essere terreno di darwinismo sociale. I repubblicani contro l’egoismo d’impresa, contro un’idea competitiva del libero mercato, sperimentano altre forme, capitale e lavoro nelle stesse mani diceva Mazzini, e il modello è quello della cooperativa in cui non c’è quella dialettica servo/padrone di cui si occuperà Marx, cioè da una parte c’è chi mette i soldi e dall’altra chi lavora, ma la società è di chi lavora. C’è un rapporto diverso tra l’ideologia repubblicana e quella liberale anche nei confronti della legge, della normativa. Per i liberisti la legge è spesso vista come un ostacolo, per cui la libertà ancora una volta è una libertà dalla legge. I repubblicani proprio per la loro peculiare idea di Stato tendono a preferire una libertà nella legge, cioè solo la legge può garantire che io non sia vittima e schiavo di un arbitrio qualunque o di una prepotenza qualunque. In questo senso il dovere può essere l’unico diritto che non devo mai smettere di rivendicare.
Bassoli è innamorato di questa visione, è un mazziniano convinto. Esiste in questi anni una vicinanza con gli ideali della Massoneria. La Massoneria genitrice e figlia dell’Illuminismo, quella di Lessing, la Massoneria della Rivoluzione Francese, la Massoneria della crema del pensiero europeo, da Voltaire a Mozart, a Goethe. Quella che predica il libero pensiero, la tolleranza e l’affratellamento dei popoli. Sono massoni praticamente tutti, dal Gran Maestro Giuseppe Garibaldi, che è stato a capo del Grande Oriente d’Italia per una decina di mesi, a Ernesto Nathan, ad Arcangelo Ghisleri, a Giovanni Bovio a tutti i vertici del Pri Giovanni Conti, Randolfo Pacciardi e non fa eccezione nemmeno Bassoli, invitato in Loggia a San Felice Circeo dall’ingegner Ballarini.
Pensiero e azione. Ecco perché poi tutto diventa concretezza. La testimonianza del proprio esserci è il fare. Ed è con la memoria che si fa il futuro. Anche per questo il sindaco Coletta ha preso l’impegno di intitolare a Bassoli una via o comunque un’area verde della città.