Bisognerebbe istituire un “Ministero del disturbo”. La provocazione non è mia, è di Dewey. Lui pensava a qualcosa di istituzionale, fonte di scompiglio, per scardinare il tran tran e il compiacimento. La vita è dinamica per definizione, è “crescita continua” ci ricorda Armando Massarenti, è un dinamismo che ha paura dello stare fermi. Quando il motore sembra fermarsi, ecco che scende in campo il Ministero. Norberto Bobbio questo fa: agita gli studi hegeliani, li mette in dubbio, in crisi, ma non per farli crollare. Perché riprendano il loro corso spirituale e smettano di abitare usate consuetudini. Non sfondano porte aperte. E questo era l’obiettivo. Perché, citando Remo Bodei, “è difficile parlare oggi di Hegel senza sfuggire all’impressione che tutto sia stato già detto”. Almeno “a nostra insaputa”, come precisa appunto Bobbio, “perché è impossibile leggere tutto quello che si scrive” attorno ad Hegel.
Certo, Bobbio ha frequentato poco per sua stessa ammissione le altezze del pensiero hegeliano, “vette perennemente avvolte dalle nubi” e ha preferito concentrarsi “in un più praticabile e, almeno per me, abitabile, altipiano”, e “convinto sempre più che la filosofia non fosse occupazione da giorni feriali” ripiegò sugli studi generali di diritto. E per la sua formazione fu indispensabile il ristretto novero dei “cinque autori” (oltre al filosofo di Stoccarda anche Hobbes, Locke, Rousseau, Kant), cruciali, assieme a qualche contemporaneo tra cui Croce e Cattaneo.
Bobbio entra nel dibattito sugli studi hegeliani con una riflessione su Hegel e giusnaturalismo, oggi riproposta da Mimesis in una splendida raccolta. Una volta che Hegel ha introdotto il concetto di “totalità etica”, prodotta dalla storia, non ce n’è per nessuno. «Nella tradizione del diritto naturale il singolo, cioè l’individuo, viene prima del tutto, cioè dello stato: lo stato è un tutto che viene costruito a partire dal singolo, è il termine finale di un processo che comincia dall’individuo isolato. Il populus è nel linguaggio dei giusnaturalisti un ente artificiale, non importa se prodotto dall’istinto o da un calcolo razionale, un posterius non un prius. Per Hobbes, prima del populus, che è derivato dal pactum unionis, c’è solo la moltitudo, e questo populus che si risolve della civitas […] è una persona moralis, cioè un ente fittizio. Pufendorf elabora una teoria degli enti morali che a differenza degli enti physica sono enti istituiti (per institutionem) e imposti (per impositionem): ente morale per eccellenza è la civitas. Rousseau, che non è un organista, a onta di tutti coloro che preferiscono considerare Rousseau un precursore di Hegel, anziché Hegel un continuatore di Rousseau, usa, tra le altre, espressioni come “corps artificiel”, “être moral” per designare il popolo, il governo, lo stato. Fiche nei Grundlage des Naturrechts (1796) pone all’inizio della sua deduzione l’individuo (das individuum) come “essere razionale finito” (endliches Vernunftwesen). […] L’individuo è concepito come una parte del tutto solo in quanto cittadino, cioè dopo che è entrato a far parte dello stato, che nasce per contratto non c’è che l’individuo: dunque il tutto organico non è un presupposto ma una conseguenza del sorgere dello stato». Hegel rifiuta il contrattualismo, non mettendo in discussione l’inesistenza empirica del covenant (“this chimera”, la aveva definita anche Hume) ma la sua inconsistenza razionale. Spiega Bobbio: «Con la figura della comunità popolare, intesa come totalità vivente e storica, il cui soggetto non è più il singolo o una somma dei singoli ma una collettività, un tutto organico, veniva individuato e messo in risalto un nuovo momento della vita pratica che richiedeva nuovi strumenti concettuali. Poiché il prodotto caratteristico di una comunità popolare sono i “costumi” (die Sitten), il nuovo concetto di cui Hegel si valse sin dai primi anni per comprendere e contrassegnare la nuova realtà che gli si andava rivelando attraverso l’idealizzazione della polis greca, la lettura dell “unsterbliches Werk” di Montesquieu, la scoperta dei moeurs fatta dagli scrittori francesi, le suggestioni che gli venivano dal contatto con la cultura del primo romanticismo, fu quello dell’eticità». Il popolo non è un “prodotto artificiale di individui sparsi e separati che si riuniscono in una società per deliberata volontà, ma un fatto naturale”.
Il regno del diritto è per Hegel il regno della libertà realizzata. Ma non è ancora una libertà piena e autentica, quella si darà non nella storia ma solo nello Spirito Assoluto. Io sono libero di sviluppare me stesso, di sviluppare la mia soggettività finita. Questa libertà è ben diversa dal capriccio. Io non sono libero di sentirmi un tulipano o una sedia. E non ho il diritto di farmi riconoscere dagli altri tulipano o sedia, perché, appunto, vorrebbe dire assecondare una stravaganza, non garantire una libertà. «Niente è diventato più ordinario dell’idea che ciascuno debba limitare la sua libertà in relazione alla libertà degli altri; e che lo stato sia la condizione cui ha luogo tale limitazione reciproca, e le leggi siano i limiti. In questi modi di vedere la libertà è concepita soltanto come un qualcosa di accidentale, un arbitrio». Hegel esalta la legge perché è “costume in vigore”, qualcosa che si rende universale, cioè oggetto del mio sapere.
Per Bobbio Giovanni Gentile non interpretò Hegel, lo stravolse. «Gentile, accettando il principio nazionale, non riconobbe la molteplicità degli stati, ma innalzò il proprio stato a unico stato; rifiutando la distinzione tra Spirito oggettivo e Spirito assoluto, giunse a sostenere che lo stato, come forma dell’autocoscienza, è a suo modo una forma di filosofia; infine, non avendo occhio per le distinzioni empiriche, ripudiò come non speculative e quindi spurie la distinzione tra stato e famiglia, e quella tra stato e società civile. A furia di unificare, di semplificare, di ridurre a stato, all’unico stato, ogni determinazione storica, ripudiata come spregevole empirica, finì per fornire un dotto commentario alla formula mussoliniana “Tutto nello stato, nulla al di fuori dello stato, nulla contro lo stato”, la giustificazione filosofica dello stato totalitario». Pochi erano quelli che si sono salvati dalla critica di Bobbio. Tra le eccezioni Carlo Cattaneo, un “modello virtuoso” di “filosofia militante”. La sua riflessione è “uno dei pochi patrimoni degni di essere salvati”, ne apprezzava l’idea che dovessero andare di pari passo “la rivoluzione scientifica” e “la rivoluzione democratica”, “il rischiaramento delle menti con l’emancipazione delle volontà, il controllo della scienza sulla società col controllo della società sulla scienza”.
«Non esito a dire che un Hegel risorto non vedrebbe di certo nelle società capitalistiche di oggi e nei sistemi politici che le reggono i segni dello stato come “realtà della volontà sostanziale”, come “il razionale in sé e per sé”. Mai come oggi il contrattualismo […] avrebbe ragione di celebrare i propri trionfi. Lo stato è oggi, più che la realtà di una volontà sostanziale, il mediatore e il garante delle contrattazione fra le grandi organizzazioni, partiti, sindacati, imprese, che agiscono come potentati semindipendenti sia tra loro che rispetto allo stato, i cui conflitti vengono risolti dopo lunghe e laboriose trattative con accordi che, come tutti gli accordi bilaterali, sono fondati su concessioni reciproche e durano quanto dura l’interesse dei singoli contraenti a osservarli».
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