Il bello della politica è la piena libertà di interpretazione delle leggi e delle proposte, ciascuno si può sbizzarrire quanto vuole. L’emerito professor Giovanni Maria Flick è tormentato da decenni per la riforma del titolo V voluta dalla parte politica per cui lui ha militato. Questo suo tormento nasce forse dal fatto che fra il 1999 ed il 2000 causa i suoi impegni istituzionali, rappresentante dell’alta corte Europa, giudice costituzionale, non abbia potuto intervenire contro quella, che conveniamo volentieri con lui, fu un’autentica porcheria. In compenso da quando Flick è libero da incarichi d’ufficio si è lanciato in una grande battaglia, magari retrodatata, comunque encomiabile contro quella riforma. Forse il comitato promotore per il referendum contro l’autonomia differenziata che lo ha scelto come presidente, ha commesso un errore. Flick è un costituzionalista che si potrebbe definire integralista, indisponibile ai ritocchi della materia costituzionale del 1948, oltraggiato dalla riforma del 2000. Questo è chiaro dalla sua intervista del 13 agosto in cui egli espone al quotidiano comunista il Manifesto, esattamente un pensiero che ben conosciamo contro il federalismo di una riforma frettolosa e non pensata. Gli diamo volentieri ragione, per lo meno la sua è la posizione che il Pri prese in solitudine nel centro sinistra e che portò di fatto il partito, di lì a breve, a lasciare quella coalizione.
Coloro che invece sostennero quella riforma convintamente ed ancora sono incuranti delle questioni legate alla legislazione concorrente che da allora gravano sull’amministrazione dello Stato, sono usciti dai loro sepolcri per dare addosso all’ottimo Flick. Egli con le sue parole sarebbe la prova provata di un misfatto contro la storia riformatrice stessa della sinistra, apertasi proprio in grande stile con l’intervento sul titolo V. Da qui la lettera che si legge sul Corriere della Sera, firmata dai senatori Morando e Todini. Il referendum, tuonano i due riformatori, non è contro la legge Calderoli, è contro la Costituzione riformata! Fosse così varrebbe la pena di sostenerlo, in quanto il Titolo V noi lo consideriamo proprio un’ignominia. Disgraziatamente quella di Flick contestata dai due compari è solo un’interpretazione, autorevolissima, ma non sufficiente a controriformare un bel niente.
Prima di prendere una qualche posizione nel merito del referendum, il Pri è un partito che sostiene i principi della repubblica parlamentare, in genere è molto cauto sulle questioni referendarie, siamo andati a leggere il quesito presentato dai promotori. “Volete voi che sia abrogata la legge 26 giugno 2024, n. 86, ‘Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione’?” Il quesito investe direttamente la legge specifica tanto che all’interno della stesso fronte referendario si teme l’inammissibilità da parte della Consulta. Basterebbe riproporre la legge con un’altra data. Nel caso in cui invece il referendum fosse fatto e vinto, si potrebbe anche aprire una questione sull’intero capitolato costituzionale come temono Morando e Todini, ma servirebbe comunque un passaggio parlamentare che per lo meno in questa legislatura non è possibile e forse non lo sarà nemmeno in un’altra dal momento che c’è un secondo quesito che prevede una riforma parziale della legge dell’Autonomia, e questo promosso da cinque Regioni governate dal centro sinistra e tale da aver spaccato ulteriormente il fronte referendario.
Già noi sappiamo che la campagna referendaria sarebbe molto difficile, ora con buona pace dell’ottimo Flick, ci troviamo, i riformatori della prima ora e il federalismo convinto ed irrinunciabile delle Regioni. Un vero e autentico campo minato che rischia di far saltare non il governo e la legge del ministro Calderoli, ma soltanto l’ottimo Flick a cui si è intestata un’impresa tanto temeraria. Tanto che verrebbe voglia di aiutarlo, non fosse che davvero, a suo tempo, abbiamo già dato.