Chi non ricorda il finale di Guerra e Pace di Tolstoj? Una locomotiva va. Ma perché va? Il contadino dice: a muoverla è il diavolo. Un altro non è d’accordo, dice che invece sono le ruote. Un terzo dice che è il fumo che è portato via dal vento. Il contadino non puoi contraddirlo, bisognerebbe dimostrargli che il diavolo non esiste. Il secondo scende sul terreno dell’analisi e qui è altra roba, perché una volta che cominci a trovare una causa, non è che hai finito, devi andare oltre, alla radice di tutte le cause: tanto per cominciare se il treno è portato dalle ruote devi spiegare chi è che muove le ruote, altrimenti non hai spiegato niente. Fino alla radice, il vapore compresso nella caldaia, non puoi parlare, perché la tua ricerca non è completa. Quello che ha scelto il fumo si è sì reso conto che le ruote non potevano essere la spiegazione ultima, così si è affidato il primo segno che gli è capitato a tiro. Cosa ci dice Tolstoj? Che prima di aprir bocca bisogna arrivare all’origine delle cause, capirle, perché la realtà dei fenomeni è complessa, e a parlare di cose a caso si produce solo rumore.
È il caso in questi giorni della medicina. La grande protagonista del nostro tempo. Troppo spesso accomunata alla scienza, al singolare, esatta, perfetta, infallibile. Dall’altra parte c’è la magia, la credenza, l’ignoranza, il medioevo della ragione. Una contrapposizione che ha bisogno di infiniti distinguo e infinite precisazioni. E ha bisogno di una radice: la consapevolezza che la medicina, che è arte, non scienza, nasce nell’ambito della magia. Provvede a far chiarezza un pregevole studio di Corinna e Vittorio Zaffarana (pregevole anche nell’eleganza editoriale), Il Bastone di Asclepio. L’antica medicina tra scienza e magia (Formamentis). «Agli albori dell’organizzazione umana, la magia – intesa quale relazione attiva dell’Uomo con la sfera del Sacro – compie la sacralizzazione della medicina e tenta di sanare la totalità di un essere umano inteso come un’unità di quello che oggi diremmo “corpo e spirito”. La cura è globale perché la malattia è globale e dunque la risposta può essere trovata in quell’altrove ove risiede la “sala macchine del mondo”. Il gestore del Sacro, che nelle tradizioni sciamaniche (strictu et latu sensu) rappresenta un collante sociale di eccezionale importanza, si tuffa in un ‘altro’ rispetto al mondo naturale, percepito dai sensi e compreso dalla ragione, per emergerne con la soluzione definitiva. Così, da una prima fase di espulsione del malato, secondo un meccanismo di purificazione, si passa all’inclusione della malattia come evento diffuso e curabile».
«La magia e la medicina rappresentano un’unica realtà in quanto la cura è sacralizzata: del resto, in origine, più che pre/para-religioso l’atteggiamento magico si configura come un modus pre/para-scientifico: l’uomo percepisce le forze imprevedibili della natura e tenta un’interazione personale, diretta dalla propria volontà e guidata dallo spirito della ricerca e della comprensione dei fenomeni. Solo in seguito la magia cambia prospettiva e irrompe secondo un modello fortemente influenzato dall’Oriente, progressivamente corrompendosi e trasformandosi in quello che oggi definiremmo un atteggiamento superstizioso, collocato a latere, in addirittura in opposizione all’atteggiamento religioso».
Erano secoli in cui a guidare l’uomo era lo stupore, la meraviglia, in cui tutto sapeva di inesplorato e di conquista. Il mago, lo scienziato, il filosofo dovevano arrivare in cima alla comprensione delle cose e non sgomitare in televisione per un gettone di presenza e una corsa in più della giostra dell’ovvio, a vendere più errori che certezze. Verrebbe da consigliare loro un nuovo format televisivo, più adatto alla tempra e all’epistemologia, Che tempo che fece, per il clima del giorno prima e di quelli ancora precedenti. È vero che si fa meno spettacolo, ma almeno ci si indovina.