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Il nemico dell’America

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
8 Giugno 2023
in L'editoriale
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La riflessione sulla storia contemporanea è indispensabile per la formazione di qualsiasi Stato che intende estendere una consapevolezza democratica della propria evoluzione e del proprio sviluppo. Servono scuola, università e ricerca e la mobilitazione dei mass media e di tutti i soggetti istituzionali per avere una certa sensibilizzazione. I risultati migliori si sono conseguiti con le giornate della memoria che offrono un quadro esatto della Shoà a cui corrisponde anche un eccezionale materiale diffuso cinematograficamente. Basta pensare anche solo al capolavoro di Spielberg, Schindler List. Lo Stato dovrebbe preoccuparsi poi di tutti gli elementi storici più rilevanti su cui concentrare l’attenzione dei propri cittadini, il Risorgimento, l’unità nazionale, le guerre. Un ruolo che ad esempio per lo Stato ha svolto la Rai con efficacia nei primi anni sessanta del secolo scorso per poi rinunciarvi completamente tempo vent’anni. Oggi viene esercitato solo ed esclusivamente dalla televisione privata di Umberto Cairo, LA7. La programmazione della storia in Rai è divenuta meramente didattica, comunque mai in orari di massimo ascolto, quando LA7 raccoglie testimonianze, documentazione di archivio, consulenze storiche, spesso film, il tutto in prima serata. Lo ha fatto in questi giorni per la ricorrenza dello sbarco in Normandia e si è spinta anche oltre, ripercorrendo la crisi dei missili di Cuba. Tutto questo è encomiabile e meritevole per una televisione privata e la Rai dovrebbe impallidire al confronto.

La ricostruzione storica è sempre discutibile e gli autori de LA7 a volte si lasciano prendere dalla fantasia del romanzo, che pure è una suggestione comprensibile. Meno comprensibile che storici professionisti e quotati, come il professor Canfora ieri sera sul caso Mattei, si comportino da autori televisivi. Canfora ha parlato tranquillamente di un attentato a Mattei e lo ha messo in conto agli Stati Uniti d’America proprio per la crisi dei missili. Mattei era personalità molto influente in Italia, ma principalmente si occupava di petrolio ed è vero che aveva molti nemici in America come è vero che proprio con la presidenza Kennedy i rapporti si erano fatti più distesi. Gronchi, presidente del Consiglio voleva proprio promuovergli una visita negli Stati uniti per appianare i contrasti residui di una situazione comunque cambiata. Ci sono diversi studi a documentazione. In ogni caso Mattei nemici ne aveva anche nel mondo comunista, non solo perché il Pci voleva nazionalizzare l’Agip, ma proprio perché Mattei era stato incaricato da De Gasperi di democraticizzare l’associazione partigiani a ridosso della guerra di Corea. Se gli americani volevano uccidere Mattei, anche i comunisti italiani potevano volerlo fare e si potrebbe benissimo elaborare una tesi a riguardo. Il punto storico è che non c’è una qualche dimostrazione attendibile dell’attentato, piuttosto dell’incidente. Per cui se Canfora è convinto dell’attentato, questo è perfettamente legittimo sulla base dell’intuizione soggettiva, non dei riscontri storiografici. Asserire che Mattei morì in un attentato per causa degli americani è più o meno come sostenere che i fratelli Kennedy fecero assassinare Marilyn Monroe. Illazioni personali, nessuna riflessione storica.

LA7 ha comunque ripercorso esemplarmente la crisi dei rapporti russi americani del 1962, anche se non ha saputo spiegarci perché si è risolta. Sembrerebbe aver influito la sensibilità umanitaria del presidente Krusciov, una personalità che pure a Stalingrado e prima alla guida del partito bolscevico in Ucraina, non ne aveva dimostrata alcuna. Si sono ricostruite due personalità di Krusciov e quella umanitaria maturata è prevalsa. Anche questo è possibilissimo per carità. Il contesto militare in compenso è più semplice da descrivere ed è anche inequivocabile e pure LA7in generale, non solo nella trasmissione di ieri sera, ha difficoltà ad inquadrarlo per quanto storicamente accertato. L’America aveva i missili armati puntati contro l’Unione sovietica in Inghilterra, Italia e Turchia. I missili russi avevano una autonomia, oltre che una scarsa precisione, buona a colpire l’Alaska. Il gap era tale che il comando strategico balistico sovietico smise di incrementare il programma di perfezionamento dei suoi missili fin dal 1962 per dislocarli a ridosso degli Stati Uniti d’America, prima di tutte la socialista Cuba. Ancora oggi non si sa quanti fossero i missili armati delle due partite arrivate sull’Isola. Sorvolata ad altezza degli alberi dall’aereonautica statunitense, ammesso che fosse riuscito un solo lancio, Cuba sarebbe stata sprofondata nell’oceano e Kennedy aveva promesso la ritorsione sull’Unione sovietica che era anche puntata dalla flotta di b52. In caso di conflitto non sarebbe scomparso il mondo, come hanno detto i vecchi ammiragli della flotta sottomarina sovietica impegnati a Cuba in quegli anni, ma sarebbe scomparso il regime socialista cubano e azzerata Mosca. Krusciov quando vide chiaramente la situazione si ritirò. Avrebbe ritentato il colpo Breznev in Cile dieci anni dopo. Fallito pure quello è finita l’Unione sovietica perché aveva perso la guerra atomica. È il motivo per cui i russi oggi piuttosto fanno saltare le dighe sul Dnepr. La guerra possono farla solo inventandosi disastri naturali. La loro fortuna è che non c’è un Kennedy pronto ad assumersi la responsabilità di premere il pulsante. Ma questo solo fino a quando l’America non sarà minacciata direttamente.

Foto CCO

Tags: CanforaMattei
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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