E’ uscito in libreria il lavoro dell’onorevole Luigi Marattin, “La missione possibile, la costruzione di un partito liberal democratico e riformatore”, Rubbettino editore e questo dopo pochi giorni che lo stesso Marattin ha lasciato il suo partito politico, Italia viva. Verrebbe da credere che la creatura di Renzi non fosse adattata a compiere un”operazione tanto ambiziosa. Siamo tornati volentieri a proporre una seconda intervista all’onorevole Marattin per sapere se egli ha in mente una tradizione politica culturale di riferimento da dare ad un nuovo un partito liberal democratico, un Pantheon a cui rivolgersi idealmente, o se bisogna tagliare i ponti con il passato e pensare direttamente ad un nuovo progetto di società, capace di governare il cambiamento. Ma procediamo un passo alla volta.
Il fatto che oggi si senta il bisogno di un partito liberal democratico, significa che il partito democratico attuale, non è abbastanza liberale?
Il Partito Democratico per due volte, nella sua storia di 17 anni, ha provato a dotarsi di una postura liberale o simil-liberale. All’atto della sua fondazione nel 2007, con Veltroni e il famigerato discorso del Lingotto scritto da Enrico Morando, e nel 2013-2016 con Renzi. Non è un caso che entrambe le volte i tentativi siano stati repressi dalla furia restauratrice del richiamo della foresta della tradizione più conservatrice della sinistra: quella tendenza, che dura da 30 anni, a non abbandonare mai i richiami al socialismo e allo statalismo. In questa fase storica quest’approccio ha prevalso, suggellato dalla vittoria di Elly Schlein (e del suo gruppo dirigente più ristretto, tutti proveniente dalla sinistra radicale) alle primarie del marzo 2023. Ora il Pd è un partito pienamente schierato nella tradizione del socialismo, e alleato con forze populiste (il M5S) e di sinistra radicale (VSI). Le parole d’ordine di quel partito, e ancor più di quella coalizione, sono antitetiche rispetto alla tradizione liberale e a quello di cui, secondo me, ha oggi bisogno l’Italia.
Giovanni Amendola fu il primo a pensare alla necessità di costruire un partito democratico in Italia e questo proprio quando la democrazia stava per essere compressa da un regime repressivo. Non teme nei corsi e ricorsi della storia?
Non mi schiero tra coloro che temono il ritorno di un regime repressivo in Italia. Temo di più il declino, che a volte sembra inesorabile, dovuto alla scarsa consapevolezza dei nodi strutturali che ipotecano il futuro dell’Italia: dal debito pubblico alla produttività ferma, dalla demografia alla scarsa qualità della politica e del dibattito pubblico. Anche perché mentre contro il fascismo e la tirannia si possono prendere le armi, come fecero tanti giovani all’epoca, contro questi mali la soluzione è più complicata.
Il suo libro esprime un senso di insoddisfazione politica profonda, che è sicuramente condiviso da molti cittadini. Lei crede che questo consenta di fondare un partito liberal democratico di colpo, o occorra comunque passare per una fase federativa tra vari soggetti che si richiamano alla sua stessa visione?
Senza dubbio la seconda strada. I partiti (se intesi come strumento di organizzazione della vita politica, e non come fan club di una persona) sono una cosa seria e non si possono improvvisare. Uscendo da Italia Viva infatti mi sono ben guardato dal fondarne uno, ma ho creato – insieme a centinaia di persone – un’associazione dal nome Orizzonti Liberali. Con questa, abbiamo già iniziato un’interlocuzione con gli altri soggetti di area – tra i quali spero di includere presto il Partito Repubblicano – dai Libdem all’associazione NOS di Alessandro Tommasi, passando per importanti personalità d’area come Carlo Cottarelli. L’obiettivo è un percorso di almeno sei mesi di amalgama, di condivisione di idee e prospettive, di fermentazione e di costruzione dal basso: dalle liste civiche “senza casa nazionale”, dai tanti giovani che si stanno avvicinando, dalle persone stanche del degrado del dibattito pubblico e della politica. Solo alla fine di questo percorso di costruzione potremo considerare, se tutto sarà andato bene, la creazione di un partito.
Nel suo libro c’è una chiara insofferenza per il personalismo in generale, e l’avversione, sacrosanta, al partito personale. Un partito deve essere uno spazio politico contendibile, Ritiene possibile riuscire a far coesistere personalità di peso in questo progetto? Non c’è sempre il rischio inevitabile che la maggiore personalità finisca con il prevalere sulle migliori intenzioni, e che possa servire a favorire la nascita di un partito liberal democratico?
Trent’anni di partiti personali hanno lasciato il segno, ne parlo molto nel libro. Abbiamo perso l’abitudine a stare insieme a meno che non si condivida anche il minimo dettaglio dell’ultima proposta, abbiamo perso la capacità di fare squadra, l’attitudine a cooperare invece che a competere all’interno dello stesso gruppo. Abbiamo sedimentato l’abitudine a dividerci in “clan” dietro a questa o quella personalità forte. Quindi sì, il rischio c’è senz’altro. Ma non è un esito ineludibile. Come tutte le attività umane, dipende dalla volontà dell’individuo e degli individui.
Non sarebbe meglio entrare in un partito liberale già esistente e ampliarne gli orizzonti con il suo contributo? Ad esempio questo è quanto fece La Malfa con il vecchio Pri.
Era un’altra epoca, allora c’erano i partiti veri. Ora i maggiori partiti nazionali sono tutti partiti personali, con l’eccezione del Pd che somiglia più ad una confederazione di partiti personali. Col Partito Repubblicano, che in alcune zone d’Italia mantiene una presenza rilevantissima, come ho detto spero di aprire un dialogo proficuo.
Einaudi, a proposito di liberali, scriveva che se pensava al debito non dormiva la notte, le sembra che le attuali coalizioni soffrano della stessa insonnia?
Certo. Ma per il motivo opposto. Non dormono perché temono di non poter spendere abbastanza.
Esclude a priori una coalizione con uno dei due poli per cercare di influenzarlo?
Si. Come scrivo nel libro, ad oggi le due coalizioni hanno un motore politico-culturale del tutto incompatibile con un approccio liberale. Se in futuro il quadro politico andrà incontro ad una scomposizione e ricomposizione, ovviamente vedremo e valuteremo quelle dinamiche. Ma se si votasse domattina non avrei il minimo dubbio sull’evitare ogni forma di collaborazione: non sarebbe credibile mettere insieme coalizioni con dentro tutto e il suo contrario, solo per impedire all’avversario di vincere. Se ci pensate, è la storia degli ultimi trent’anni.
E’ finito il tempo del partito che presume di fare da mosca cocchiera. Lei pensa che si possa aumentare l’area del 7 per cento espressa dal terzo polo nelle ultime elezioni politiche per esercitare un peso politico diretto sulla società italiana?
Tutte le rilevazioni più autorevoli stimano il potenziale di quest’area in un intorno del 15 per cento. Il Terzo Polo prese circa la metà, ma al primo colpo e con una lista messa in piedi in fretta e furia a Ferragosto. Se quell’esperienza fosse continuata, avrebbe probabilmente raggiunto il potenziale. Ora ci tocca ricominciare daccapo ma, stavolta, facendolo nel modo giusto e senza personalismi.
Il povero Renzi sembra che non lo vogliano nella meravigliosa alleanza Schlein Conte e Fratoianni. Nel caso se lo riprenderebbe Renzi nel partito liberal democratico? E cercare di mettere una parola buona con Calenda?
Ho passato più di due anni a mettere “parole buone” e cercare di far lavorare insieme Iv e Azione. Ho fallito, o comunque non sono stato ascoltato. Ora preferisco guardare avanti.
La voce repubblicana ovviamente esprime con la massima stima, tutta la sua simpatia all’onorevole Marattin e vorrebbe far presentare il suo libro nelle sedi istituzionali in cui il Pri è rappresentato, in Puglia, In Campania, in Emilia Romagna ed in Toscana.
archivio fotografico Luigi Marattin