Se il problema sociale dell’Italia dipendesse dal 15 per cento dei lavoratori che sono esclusi dal contratto collettivo nazionale e percepiscono un salario inferiore ai 13 euro, saremmo a cavallo. Senza fare comunque un salario minimo che rischierebbe di compromettere i risultati conseguiti dai contratti più alti insieme al far fallire le aziende che non possono permettersi di pagare quelle cifre, il governo potrebbe dare degli incentivi salariali a quel 15 per cento. Dei bonus casa, dei bonus alimentari, veda il governo cosa serva a colmare il gap con gli altri lavoratori. Insomma si tratterebbe comunque di qualcosa di non impossibile da realizzare anche in breve tempo. Purtroppo invece ai due milioni circa di lavoratori in condizioni ritenute di “sfruttamento”, si aggiungono almeno sette milioni di disoccupati e quindi ecco che il problema sociale assume una proporzione un po’ più ampia, comunque tale da non apparire risolvibile per decreto.
Quando il partito repubblicano propose l’autunno scorso una pacificazione sociale era preoccupato di non disperdere completamente lo spirito solidale del governo Draghi. C’era il Pnrr da realizzare, cioé un’occasione unica di ammodernamento e riforma del paese soprattutto offerta all’indomani di una crisi pandemica che ha aumentato il nostro debito pubblico oltre ogni soglia plausibile per qualsiasi altro Stato europeo. In altri termini il partito repubblicano non si rivolgeva solo alle parti sociali, ma all’intera comunità statale, Governo, Regioni, magistratura. È chiaro che se poi tu inizi ad accusare il governo di essere fascista, l’opposizione la chiami comunista, il governo centrale si scontra con le Regioni, la magistratura divulga ogni inchiesta, stai fresco. Al che uno può dire, scusate un governo è chiamato comunque a svolgere la sua funzione nel modo migliore perché mai dovremmo aiutarlo con un clima politico pacificato? Faccia quello di cui è capace. Purtroppo, noi si era convinti che solo Draghi sarebbe stato capace di affrontare questa fase nazionale e quindi abbiamo richiesto uno sforzo comune per agevolare un governo che ritenevamo chiaramente inadatto alla bisogna, come si sta dimostrando. Nemmeno a dirlo, all’inettitudine del governo si è aggiunta la deriva velleitaria dell’opposizione. La battaglia sul salario minimo ne è il segno inconfondibile, il marchio di fabbrica che rende impossibile persino pensare un’alternativa percorribile.
Abbiamo scritto, vogliono il salario minimo? Proponetelo a 20 euro perché nel giro di un anno se lo mangia l’inflazione. Il governatore Visco ci ha rassicurati. È possibile un calo inflazionistico a breve, con il controllo delle risorse energetiche e nonostante la guerra in Ucraina. Non fosse che Visco parlava come membro della Bce, l’Italia con il debito pubblico che si ritrova, sprovvista di fonti energetiche autonome, il governo non ha nemmeno fatto riprendere le estrazioni nell’Adriatico, per quale ragione dovrebbe riportare l’inflazione sotto controllo? Non c’è nemmeno allo studio un solo progetto di riduzione della spesa pubblica. L’opposizione vuole aumentare i salari? Chieda al governo un piano di tagli alle spese per avere una base di risorse per farlo, altrimenti si va verso la bancarotta, altro che verso l’equilibrio sociale. Quando ci si accorgerà che anche il salario minimo perderà il potere di acquisto, si metteranno a chiedere il ripristino della scala mobile.
Qualsiasi trovata pur di non fare l’unica politica necessaria al paese, realizzare il pnrr, creare investimenti, ridurre il debito, tagliare la spesa, programmare un intervento sul reddito. Serve una politica repubblicana, e ahinoi serviva Draghi. La destra non sa che pesci prendere e l’opposizione non riesce nemmeno a proporre una politica di sinistra. Bruno Trentin si dimise da segretario della Cgil dopo aver accettato un accordo sul salario minimo.