Segnatevi questi nomi. Innanzitutto Klaus Vieweg. E poi: Francesca Iannelli, Federica Pitillo e Gabriele Schimmenti. Segnateveli perché ne sentiremo parlare spesso. Vieweg è lo studioso dell’università di Jena che ha scoperto 5000 pagine inedite sulle lezioni di Hegel. Iannelli, Pitillo e Schimmenti fanno parte della squadra che ci sta lavorando su, insieme ad altri specialisti dell’Università di Padova, dell’Università di Bamberga. Siamo nell’attico della cultura, e per una volta c’è uno strano sapore. Viviamo in un presente che è pieno di tutto, talmente veloce che lo stupore persino fa fatica. Eppure abbiamo sempre bisogno di quel pensiero forte che viene dal passato e che ci comprenda e metta ordine al sapere. La lezione di Hegel è ancora una volta davanti a noi, e non di dietro. Perché Hegel non è in una teca di vetro in una galleria di ritratti, Hegel è ancora qui e a lui continuiamo a chiedere chi, cosa, come, perché. Nelle settimane in cui abbiamo parlato di AI e di Chat, il nostro futuro guarda a delle scatole piene di appunti presi a mano. Sono gli appunti sulla logica e sulla metafisica, sull’estetica, sulla filosofia della natura, su quei temi cioè approfonditi a lezione a Heidelberg e messi giù da Friedrich Wilhelm Carové.
Oggi l’idea di una filosofia forte sembra tramontata del tutto. Il pensiero ci si offre parcellizzato, a bocconi, buttato così alla rinfusa, e l’idea di raccoglierne un senso e una coerenza sembra un’impresa velleitaria e tutto sommato inutile. Con Hegel dobbiamo recuperare anche la sua visione, ha detto Vieweg nell’aula magna di Roma Tre, dove ha presentato ieri il suo lavoro. «Si suppone ci sia una confusa babele di voci, una cacofonia delle posizioni più diverse. La visione superficiale diagnostica l’emergere di molteplici pensieri che si oppongono, si contraddicono e si confutano a vicenda. Il guazzabuglio trovato è costituito da errori e confusioni, da una baraonda di opinioni confutate, da racconti di viaggi infiniti e inutili di cavalieri erranti, da una collezione di mummie. Si osserva un campo di detriti (Dilthey), un cimitero di navi arenate e arrugginite, incagliate sul “banco di sabbia della temporalità” (Hegel). Sembra un insieme eterogeneo di giochetti intellettuali, anche le “grandi narrazioni” avrebbero abdicato. Si potrebbe solo trovare qualche pensiero utile in questa enorme cava, di tanto in tanto. L’occhio privo dell’idea vede solo un mucchio disordinato di opinioni».
L’occhio privo dell’idea è lo sguardo, povero, del mondo piatto e positivista, quello che non sa cogliere, quello che guarda e non vede. «Come la verità non può che essere Una, così la filosofia ha una sola storia. La verità solo Una, in varie forme particolari e singole. La “scusa della mera differenza” (Hegel), dei particolari sovrani, risale al primo tropo dell’Agrippa pirroniano – la diafonia – considerato dagli scettici pirronici un’arma quasi insormontabile contro la filosofia. Questo è un momento centrale del relativismo, che si suppone diretto contro il terrore dell’universale, ma che coltiva esso stesso il terrore del particolare, il terrorismo della diversità. Si rifiuta che un universale debba essere pensato nel particolare. Solo che i sostenitori di questa posizione dovrebbero evitare la parola ‘filosofia’, con la quale ‘comprano’ l’universalità. Ogni filosofia particolare deve essere pensata solo nel suo isolamento, nella sua diversità, come se le ciliegie o le albicocche non fossero anch’esse frutta. Nella sua annotazione alle lezioni sul già citato tropo della diversità, Hegel ricorda l’esempio banale della frutta e delle ciliegie. Per illustrare meglio questa semplificazione, per forza di cosa metaforica: dovete comprare della frutta al mercato di Jena. Il commerciante chiederà subito quale frutto particolare si desidera, ciliegie, pesche, albicocche, ananas. Se poi comprate un singolo ananas, portate a casa l’unità di universalità, particolarità e individualità, il concetto sotto forma del singolo, il particolare frutto ananas. La frutta sarebbe l’astrazione unilaterale dell’universale, l’ananas il frutto particolare e questo ananas l’articolazione carente della particolarità. Quando si pronuncia la parola “io” è evidente che in essa l’io come universale, così come la particolarità e la singolarità di tale io, sono articolari in unità – la struttura (la “natura”) del concetto come unione di universale, particolare e singolare».
«Si pretende l’indagine approfondita dell’individuo. Senza poter dimostrare una comprensione approfondita della sua particolarità, si insiste su un evento spezzettato in particolarità, frammenti ed episodi. Si rifiuta di vedere la foresta dove sono gli alberi, non una filosofia di fronte a tutte le filosofie, nonostante gli storicisti usino il termine filosofia, ma senza giustificarlo». La definizione di storia della filosofia è fondamentalmente sbagliata. Per Vieweg la filosofia è una sinfonia di voci, una storicità che non è ma che diviene, un unico sviluppo. Cosa che non afferrando i cronologi, i collezionisti, gli storicicisti-empiristi. «Se si opera una selezione e si mette ordine nel presunto caos, lo si fa sulla base di molteplici criteri, senza giustificarli, senza un fondamento logico-sistematico. Hegel utilizza anche l’immagine della visione d’insieme di un paesaggio, che si perde di vista quando ci si addentra nei minimi particolari. Queste parti e sfaccettature hanno un “valore squisito”, ma solo in relazione al tutto».
Nella foto, da sinistra: Gabriele Schimmenti, Federica Pitillo, Francesca Iannelli, Roberto Morozzo della Rocca (direttore del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo di Roma Tre), Klaus Vieweg