È figlia della stessa stanchezza di quelle rassegne estive con la Maraini, qualche ex magistrato e il dirigente locale in pensione a cui qualcuno ancora porta le borse. La chiami cultura, giusto perché fuori hai Khaby Lame, le ragazze su Instagram, più audaci su Only Fans, il corsivo e Fedez che si vanta di non conoscere Strehler. Uno dice: va bene, se l’alternativa a Desiati è quella che scorre ogni giorno su Facebook uno se lo tiene. Ma non si può fare a meno di osservare che va bene, il libro che ha vinto quest’anno il Premio Strega non è uno sciocchezzaio che si tiene in piedi con i tic e le fissazioni dem, ma è comunque costruito secondo un gusto, un rodato cliché. Chiariamoci: la prosa è buona, il mestiere c’è, ma la sensazione alla fine è che devi essere per forza mainstream altrimenti non ne esci. E la letteratura è solo uno stampino per torte dell’industria culturale, per aiutare a imporre modelli alle nuove generazioni che di modelli veri, ahimè, ne hanno ben pochi, visto che la decadenza morale, culturale, politica ha investito e travolto non solo media e social ma anche tutti i luoghi di sapere e formazione, dalle scuole alle università.
Al Premio Strega ci vai con la pochette arcobaleno e il collarino sadomaso. Perché bisogna essere conformi, non trasgressivi. Come la birra analcolica, il caffè decaffeinato, la panna senza grassi, qualcosa senza sapore, struttura, personalità. Ma che non è nocivo. Hai un’idea di famiglia tradizionale che è disamore in un “quieto vivere”, poi una relazione adultera scombina le carte, Desiati è bravo, per intere pagine ti fa dimenticare che ti sta facendo la lezioncina, che stare in Italia non si respira, è roba da addormentati, orizzonti di mondo che ti si possono aprire solo all’estero, con un’amica cilena e una indiana, “un’altra vita, più ricca, variopinta, anche abissale”. Perché solo scappando dalla tua cultura puoi scoprire della tua vita cose che nemmeno immagini e puoi chiamare libertà. Cioè che puoi accettare la confusione tardo-adolescenziale (“l’intuizione sulla nostra identità”) e chiamarla verità. Se poi abiti nel sud non c’è niente di autentico e di vero per te. Devi per forza andare a Berlino.
Ma è un’altra l’ovvietà. È a Martina il mondo che meritiamo e che dobbiamo recuperare, non a Berlino. Perché aveva ragione Frege quando distrusse Husserl per la sua Filosofia dell’aritmetica. Guarda che cosa succede a considerare empiria ogni vissuto. Succede che ognuno prende per vera, e migliore, la sua esperienza. Una cosa che vale per noi, che abbiamo conquistato per astrazione, cominciamo a pensare che valga per tutti. E questo supposto universale è il terreno di un relativismo morale, culturale, affettivo che non risparmia niente e su cui niente si può costruire. Desiati fa una bellissima ed elegantissima apologia del solipsismo. Dove l’unico ponte è il desiderio immediato. La direzione da prendere è quella opposta. Un mondo così, fatto di uomini distinti e distanti, non è un mondo che vale la pena sognare.