A due giorni di distanza della rilevazione de La Voce Repubblicana sulla disfatta russa a Vulhedar, il Corriere della sera ha riportato la notizia con un articolo di Lorenzo Cremonesi. Anche se l’attacco russo era avvenuto il 12 febbraio si comprende perfettamente che al Corriere abbiano un maggiore scrupolo nel verificare fonti di guerra tanto clamorose. Ovviamente La Voce confida pienamente in quelle di suo possesso. Rispetto alle 5mila vittime denunciate da La Voce, il Corriere ne attesta mille. La Difesa russa ne ha ammesse 500. È interessante notare come il Corriere offra una diversa spiegazione dell’offensiva, e cioè non l’inizio come ha scritto La Voce di quella che, non si sa chi, ha previsto in primavera, ma “una prova generale” della stessa. Se allora si trattata di una prova generale e sono solo stati mille i morti sul campo di una brigata, la 155esima, che dispone di seimila effettivi, la “prova generale” è stata la prova di un insuccesso clamoroso. Perché allora, disponendo ancora di 4 mila uomini e dovendo fare una prova generale, non effettuare un secondo tentativo? Senza il quale i russi avrebbero messo in prova semplicemente la resa alla resistenza ucraina.
Quale che sia stato il costo dell’assalto a Vulhedar, questo è parte dell’offensiva russa che in primavera risulterà vincente, o come appare evidente fin da ora, un nuovo buco nell’acqua. La brigata chiamata in causa è un reparto di élite della marina stanziata in Siberia e mandata a schiantarsi senza nessuna precauzione. Ciò significa o che il comando russo sia guidato da decerebrati o che non disponga di ulteriori riserve. In realtà le due cose insieme. L’attacco delle truppe regolari contro Vulhedar segue i successi ottenuti dai mercenari della Wagner nell’enclave di Soledar che hanno ridotto i loro effettivi ad un terzo e non sono in grado di una nuova azione. Il loro comandante in capo, Prigozin, che poi non è uno stratega è uno chef, costretto a leccarsi le ferite si è scagliato contro la burocrazia moscovita che comprometterebbe i risultati sul campo. Magari il problema fosse come ai tempi di Bulgakov, la burocrazia. I generali russi pianificano gli attacchi sulle mappe, nemmeno aggiornate, senza preoccuparsi delle condizioni reali del terreno, quello di Vuhledar era interamente minato e nemmeno si preoccupano degli armamenti che si trovano contro i loro soldati. La Difesa ucraina sostiene che i russi combattano come si faceva nella seconda guerra mondiale, ma per la verità, solo i generali prussiani del ‘700 assumevano una condotta di guerra simile. Non mancano poi lati paradossali, come il leader dei macellai ceceni, Kadyrov, oramai stabilmente stanziato in retrovia che agita una pistola Mauser per invitare Zelensky a spararsi. Non fosse che si è appena suicidato l’ex capo di Stato maggiore Makarov, e a ruota, la responsabile del finanziamento dell’esercito. Esercito il quale stando ai convincimenti della difesa britannica è già oltre il 90 per cento delle scorte utilizzate.
Si è fatto un gran parlare di 11 navi da guerra russe arrivate nel Mar Nero e soprattutto di migliaia di aerei ed elicotteri stanziati al confine con l’Ucraina, come prove dell’offensiva imminente. Le navi devono essere molto lontane delle coste perché la flotta predisposta per la prima invasione ha perso la sua ammiraglia causa un drone di fabbricazione artigianale lanciato da un canotto. Gli aerei invece non sono stati confermati dagli osservatori internazionali ed in effetti appare molto particolare il piano d’attacco russo che è stato sviluppato quasi interamente senza la sufficiente copertura aerea. Scriviamo “quasi interamente” perché in verità i russi si sono appoggiati all’aviazione eccome, tanto che nella prima settimana hanno perso più aerei che carri armati. Gli aerei sono molto più facilmente individuabili da armi di difesa che sanno neutralizzare più del 50 per cento dei missili che sono stati sparati. Per cui aerei e soprattutto elicotteri sono stati un’occasione di addestramento per gli ucraini di tiro al bersaglio.
Mettiamo invece che la Russia abbia una tale sofisticata tecnologia della sua aviazione da sfuggire a qualsiasi contromisura, allora non si capisce cosa aspetti ancora ad impiegarla, se non per il dato bellico del secolo scorso della Battaglia d’Inghilterra. La famosa operazione “leone marino”, in cui la Germania utilizzo più di duemila aerei senza successo, perché una guerra di conquista non si vince con l’aviazione e nemmeno con la marina, si vince con le truppe a terra. Quelle russe non si vedono più, perché le 250 mila ammassate dal settembre del 2021 al confine, si sono rivelate insufficienti e non sono mai state rimpiazzate nelle loro perdite, se non con la leva ottenuta nelle carceri, a sua volta spazzata via al 70 per cento in poche settimane. Mentre per preparare un soldato regolare in grado di combattere a questi livelli non bastano sei mesi e quindi i militari mandati di leva al fronte risultano impreparati.
In occidente molti hanno dato grande attenzione alle parole del capo di Stato maggiore statunitense Milley per il quale né i russi né gli ucraini possono vincere questa guerra. Le posizioni del Pentagono sono dettate dalle loro valutazioni interne per cui, dire che uno non può vincere la guerra è come dire che uno l’ha già persa. L’importante per il Pentagono è interrompere il flusso di armi che impoverisce il suo arsenale. Zelenskj ritiene che sulla base di quanto sta avvenendo con i giusti armamenti possa riprendersi, anche piuttosto in fretta, l’intero territorio perduto ed ha perfettamente ragione. Un disastro militare come quello messo in scena dall’armata russa non ha precedenti nella storia mondiale. Il problema è solo politico. Se si limitano gli armamenti a Zelenskj i russi faranno pochi e scarsi progressi nel Donbass ma probabilmente vi resteranno. Se Zelenskj avrà tutte le armi che richiede ad agosto la Crimea tornerà ucraina. L’occidente deve solo decidersi. Se davvero intende appoggiare interamente le richieste di Kyiv e come dice il, presidente von der Layen, fino a quando non avrà vinto la guerra. A volte verrebbe da dubitarne. Più di temere la scomparsa dell’Ucraina, in Europa, ma anche in America, c’è chi teme la disintegrazione della Russia.
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