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La questione politica del conservatorismo in Italia

Riccardo Bruno di Riccardo Bruno
3 Agosto 2022
in L'editoriale
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Per capire la questione politica del conservatorismo in Europa, bisogna pensare che il leader del partito conservatore più importante al mondo, Boris Johnson voleva cambiagli il nome. Boris, che infatti è stato fatto fuori dal Tory alla prima occasione utile, era  intimamente un progressista, tanto da mettere nel mirino persino il destino monarchico della Gran Bretagna. È capitato invece che nell’Isola convinti progressisti, appartenenti al partito dei Wighs, due secoli prima di Johnson, si scoprissero appassionati conservatori. Edmund Burke, fino al 1789 era un famoso progressista irlandese e pure si oppose con tutte le sue capacità alla Rivoluzione francese dando vita al più grande processo reazionario della storiografia mondiale. Inutile la discussione se Burke avesse torto o ragione, ciascuno negli eventi coglie quello che maggiormente impressiona il suo carattere e vi ritrova un fondamento oggettivo, quale che sia la verità delle cose. Si chiama relativismo di cui il maggior interprete del campo fu Dostoevskij quando sentenziò nel suo I Demoni, che il progresso “andava dalla scimmia all’uomo e dall’uomo alla scimmia”. Una visione circolare del progresso che appunto comporta un profilo reazionario.

Ogni volta che si tratta di progresso e di conservazione ecco che ci imbattiamo nelle stesse contraddizioni, soprattutto in un paese come l’Italia dove abbiamo avuto un fenomeno come il fascismo. Per almeno dieci anni i rivoluzionari fascisti piangevano davanti al loro Duce chiedendogli di riprendere il percorso della rivoluzione abbandonato per il compromesso monarchico e sono gustosissime le pagine sui furori di Mussolini una volta contro la borghesia, un’altra volta contro la Chiesa, infine persino contro la Monarchia, conclusi sempre con un’intesa. Ma almeno la sinistra in Italia è coerente con sé stessa.  Mica tanto, ancora si vive la sindrome di Salerno quando si aspettava che Togliatti tornato in Italia fosse pronto a fare fuoco e fiamme, ed invece fece la “Svolta di Salerno”. Poi c’è Pajetta che quando Secchia gli telefonò dicendo che aveva preso la prefettura di Torino, quello gli rispose, bravo cosa ve ne fate? Anche il compromesso storico di berlingueriana memoria non è stato propriamente caratterizzato come un autentico prodotto della versione progressiva della società italiana, indipendentemente che pure lo fosse, per chi considera il superamento dell’ideologia marxista un progresso eccome. Poi ci sono le sviste clamorose. Il povero Craxi che voleva soppiantare Marx con Proudhon, senza accorgersi che Proudhon era persino più retrogrado ed involuto di Marx.

Ai giorni nostri Galli della Loggia non teme una deriva fascista di Fratelli d’Italia. Ha ragione perché nel fascismo la donna doveva stare a casa, non guidare la campagna elettorale. Piuttosto non si capisce cosa esattamente abbia da conservare Giorgia Meloni, proviene da un partito, quello che contiene nel simbolo, che è stato tutta la sua vita all’opposizione e che per andare al governo si è disfatto. Al limite l’onorevole Meloni dovrebbe ricostruirlo daccapo perché non c’è stata nessuna conservazione del movimento sociale in tutti questi anni. Lo si vede proprio dalle posizioni di politica estera assunte dalla Meloni in queste ultime settimane, anche questo Galli della Loggia ha notato. Il governo Draghi ha trovato in Fratelli d’Italia un sostenitore affidabile nella sua politica sull’Ucraina. Per cui può darsi che la Meloni sia legata alla destra spagnola, ma certo ha rotto con Orban e segue alla perfezione l’impostazione della Ue sulla Russia. Semmai sono Salvini e Berlusconi a rappresentare un qualche problema che pure sui provvedimenti del governo Draghi sulla politica estera sono stati leali e affidabili. Anche qui non vale la pena di farsi troppe illusioni a riguardo. Berlusconi la pensa come Kissinger che Putin sia un interlocutore da non umiliare, e Salvini come il papa che bisogna fare finire la guerra al più presto. Solo Conte non voleva armare l’Ucraina in tutto il panorama politico italiano con pezzi importanti della vecchia sinistra. Quella sì, da Santoro a Canfora, è davvero conservatrice dei sentimenti antiamericani.

Foto combesy | CC0

Tags: Galli Della LoggiaJohnson
Riccardo Bruno

Riccardo Bruno

Riccardo Bruno si è laureato in Storia della Filosofia presso l'Università di Roma La Sapienza nel 1988. Dal 1987 al 1989 collabora all'Ufficio esteri del PRI diretto dall'onorevole Vittorio Olcese. Dal 1994 è capo ufficio stampa del PRI, dal 1995 giornalista professionista iscritto alla stampa parlamentare. Nel 1999 è capo redattore de La Voce Repubblicana. È stato poi editorialista per il Foglio di Giuliano Ferrara e l'Indipendente di Vittorio Feltri. Dal 2019 è prima vice direttore de La Voce Repubblicana e poi direttore politico

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